«Suonare con Cortot senza rimorsi?» Se l’artista sbaglia, salviamo l’opera
martedì 19 marzo 2024
Caro Avvenire, c’è una questione che mi sta creando un grande dissidio interiore. Essendo un autodidatta di pianoforte, tra i miei studi c'è un'opera di tecnica pianistica di Alfred Cortot, grandissimo pianista francese del secolo scorso. Il problema nasce perché ho scoperto che è stato schierato dalla parte del regime collaborazionista di Pétain durante l'occupazione nazista. Inoltre, ha tenuto vari concerti a Berlino. È possibile scindere l’artista dalla sua vita e dalla sua posizione di fronte all’occupante tedesco, responsabile della morte di decine di migliaia di ebrei francesi? Devo smettere di studiare su quel testo? Gaetano Ficarra Caro Ficarra, affidarsi a una redazione giornalistica per un quesito di coscienza non è comune. Capisco tuttavia che può non essere facile trovare interlocutori su un tema simile. Non solo perché la figura di Alfred Cortot (1877-1962) è sfaccettata e la sua vicenda complessa da decifrare, ma anche perché - immagino - non molti possiedono una sensibilità acuta e sviluppata come la sua, capace di chiedersi se deve cambiare manuale dato che l’autore potrebbe essere stato complice di gravi crimini. Mi azzarderei a dire che già questo suo nobile scrupolo la assolve se continuerà a studiare con quel “maestro”. Entrando nella questione, il primo tema è fattuale. Cortot è stato un collaborazionista nel senso pieno, ovvero sapeva delle deportazioni verso i lager e ha continuato a operare come esponente culturale di punta del governo di Vichy? Non è chiaro, per quello che consta. Certo, non ha partecipato ad atti politici (né militari). Ha dato però lustro a quell’esperienza esecrabile con la sua musica. Lo fece per preservare l’arte francese, disse poi. E, sebbene prima arrestato e poi riparato in Svizzera, dopo la guerra tornò a suonare nel suo Paese, acclamato dal pubblico. Alcune fonti dicono anche che aiutò direttamente alcuni ebrei a fuggire e che fosse amico di Leon Blum, il primo leader ebreo francese. C’è poi l’aspetto generale del rapporto tra l’opera d’arte e il suo creatore. Mi viene qui in mente, per contiguità storica, il caso di Louis-Ferdinand Céline, pseudonimo di Louis Ferdinand Auguste Destouches, geniale scrittore anch’egli vicino al generale Pétain e sicuramente, almeno per un periodo, filonazista e antisemita. Il suo romanzo Viaggio al termine della notte è un’opera cupa e pessimista ma che rappresenta un monito indimenticabile contro l’orrore e l’insensatezza della guerra. Dovremmo privarcene a motivo delle convinzioni di chi l’ha scritto? Il dibattito è aperto. Propenderei per il no. Oggi abbiamo una nuova versione di questo dilemma con gli approcci della cosiddetta cancel culture. Capolavori indiscussi sono opere di persone che appoggiavano la schiavitù o la discriminazione dei neri e delle donne: non sono intrisi di quelle idee e quindi da condannare all’oblio? Dipende. Possiamo imparare qualcosa da quelle pagine o da quelle immagini? Se sì, è un errore rinunciarvi. E poi le vite perfette sono rare. Chi ha avuto colpe può avere fatto pure cose buone. Caravaggio ha ucciso un uomo in una rissa e ci ha consegnato dipinti immortali. In conclusione, per quel che vale il mio parere, le direi di seguire Cortot come grande pianista, nella consapevolezza che potrebbe non essere stato un santo. L’importante è che la musica rimanga un’espressione alta dell’essere umano, non cieca alla realtà che la circonda e mai asservita, seppure bella in sé, a fini spregevoli. © riproduzione riservata
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