Credo che oggi una cosa da temere o su cui fare qualche valutazione sia l'aumento ininterrotto dei consumi culturali accompagnato dalla perdita di qualità della cultura consumata. Tutto è cultura e quella che viene prodotta industrialmente è sempre più una merce da consumare in velocità. Fino a qualche decennio fa i giornali potevano essere considerati "cultura di massa". Oggi i giornali stampati su carta sono tra gli ultimi baluardi della cultura scritta: prevedono un lettore capace di concentrare l'attenzione dalla prima all'ultima riga almeno di tre o quattro articoli al giorno. Il che somiglia più alla lettura di un libro che alla visione di un talk show, all'ascolto in cuffia di canzonette o alla ricerca di informazioni su internet. Siamo all'eccesso di prodotti culturali scadenti messi a disposizione di un pubblico sempre più ampio, che a sua volta è reso più vorace, ma anche più frastornato da un tale eccesso. Si può avere più facilmente di tutto, ma poi di questo tutto non si sa che cosa fare e se ne è travolti. Insomma: i modi dell'offerta e del consumo di cultura sono poco culturali, nel senso che non aiutano a prendere sul serio, cioè a percepire, interpretare e valutare la musica che si ascolta, i film che si vedono, i testi che si leggono e perfino le informazioni che si ricevono digitando in continuazione. Anche in campo culturale siamo passati dall'artigianato alla catena di montaggio: e viene in mente la famosa scena di Tempi moderni di Chaplin (1936) in cui il povero protagonista deve adeguarsi ai ritmi inumani delle macchine, che da un lato lo addomesticano come una scimmia da produzione e dall'altro gli somministrano dei pasti a un ritmo impossibile. Si comincia a temere oggi il diffondersi di una barbarie culturale che è l'omologo di quella alimentare. Mangiamo troppo e male cibi industriali carichi di zuccheri inutili e dannosi. L'obesità culturale ci minaccia. Non è più culturale osservare e contemplare un albero e un uccello in volo che guardare due o tre telefilm al giorno?
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