Tutti tacquero perché la prima parola, la prima frase a raggiungere il cervello vergine del bambino doveva essere una poesia, un verso antico e melodioso. Non una parola della levatrice o il grido di una zia, non una parola banale uscita dalla bocca di una vicina di casa.
Secondo la tradizione musulmana, appena il bambino è uscito dal grembo della madre gli si deve bisbigliare all'orecchio la professione di fede («Attesto che non c'è divinità all'infuori di Dio e che Maometto è l'inviato di Dio») e l'invito alla preghiera. Nessun altro suono umano o naturale deve incidersi per primo sul terreno vergine dell'ascolto che è simbolo anche di obbedienza. Analogo è ciò che accade in Persia nel racconto di Kader Abdolah, uno scrittore nato in Iran nel 1954, rifugiatosi in Olanda nel 1988, e che da allora scrive in nederlandese. L'evento è narrato nel suo delizioso romanzo Scrittura cuneiforme (ed. Iperborea).
L'idea sottesa è veramente suggestiva. Purtroppo abbiamo orecchi sporchi di troppe parole inutili e cattive; l'ascolto è ostruito da una valanga di suoni sguaiati, di detti vani, di espressioni spesso volgari. È necessaria una purificazione che dovrebbe idealmente iniziare coi bambini il cui cervello ancora vergine è ben presto seminato di ortiche e di gramigna. Il pensiero corre a una poesia di una scrittrice ebrea tedesca, Nelly Sachs (1891-1970), anch'essa costretta all'esilio, nel suo caso in Svezia a causa del nazismo. Nella poesia I profeti c'è questo ritornello, simile a un interrogativo che ci interpella: «Se i profeti irrompessero per le porte della notte e cercassero un orecchio come patria, orecchio degli uomini ostruito di ortiche, sapresti ascoltare?».
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