sabato 30 marzo 2024
Nel silenzio del sabato, l’ora sospesa sul nulla in cui sembrò che Cristo ci avesse abbandonato, che solo un sogno fosse stata la sua promessa – quale solitudine infinita dev’essere stato, quel giorno – penso a coloro che l’abbandono lo vivono, cocente, nella perdita di una persona cara. Alle facce degli orfani, ai vedovi dopo una vita intera insieme, alle madri e ai padri che hanno perso un figlio: orfani anche loro, nel modo più crudele. Quanti sono, anche soltanto da noi, in Italia, in pace, quelli che una notte hanno ricevuto una telefonata, e sono corsi col cuore in gola verso una strada sconosciuta, e, più niente: sangue sull’asfalto, un’ambulanza lampeggiante che non ripartiva, un telo steso a terra, da cui però spuntava una mano – la sua mano, il suo orologio. Niente. Più niente di vent’anni di latte e ninna nanne, e giochi, e risate, e discussioni e liti, intanto che lui diventava grande. Apparentemente, più nulla. Quanti sono gli annichiliti, che hanno perso ciò che avevano di più caro? Non ne sento la voce sui media. Parlano tutti, tranne loro. Il silenzio del sabato è il loro, il silenzio del mondo che si credette abbandonato da Dio. Ma anche l’alba della Pasqua è per loro. Deve essere prima di tutto per loro: per chi, orfano, non smette di aspettare. © riproduzione riservata
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