«È il mondo che canta di se stesso»: in questi termini Valentin Silvestrov ha definito il carattere ultimo dei suoi lavori corali "a cappella" (per sole voci, senza accompagnamento di strumenti) e della sua musica sacra tout court. Classe 1937, il compositore ucraino è nato e cresciuto all'ombra del severo giogo imposto dalla dittatura comunista in Unione Sovietica, dove le opere d'ispirazione religiosa erano bandite alla stessa stregua delle spinte innovative filtrate dalle avanguardie occidentali. Solo con lo sgretolamento della cortina di ferro si sono potute finalmente ascoltare le musiche di autori come Arvo Pärt, Sofia Gubaidulina o Giya Kancheli; di una generazione di artisti che ha saputo tradurre sul pentagramma il grido di dolore di chi ha sofferto il peso della censura e ha conosciuto il caro prezzo della libertà di poter testimoniare la propria fede alla luce del sole.
È questo l'ambito di riferimento in cui Silvestrov ha forgiato la propria impronta creativa: «Avevo bisogno di scrivere ciò che piaceva a me e non quello che si aspettava la gente o che veniva imposto dalla moda dei tempi: ho sentito la necessità di cercare la Bellezza». Ed è questa la chiave di volta documentata dal cd Sacred Works (pubblicato da ECM e distribuito da Ducale), che raccoglie alcune tra le più recenti opere sacre del compositore e segna il suo punto d'incontro con il Kiev Chamber Choir e il direttore Mykola Hobdych, che ha sottoposto all'attenzione di Silvestrov un gran numero di pagine della tradizione liturgica russa. «In una di esse ho trovato l'intero testo della Divina Liturgia di San Giovanni Crisostomo», ha ricordato lo stesso musicista: «per quanto riguarda l'impianto generale non mi ero ancora deciso, ma la prima litania che ho letto mi ha dato su due piedi l'impulso iniziale. Non appena l'ho "toccato", il testo ha incominciato a risuonare dentro me"».
Sono nati così i Canti liturgici che aprono il disco e che ne rappresentano il baricentro estetico e spirituale; oltre quaranta minuti di musica che, tra un Inno dei Cherubini, un Gloria e un'Ave Maria, riecheggiano a tratti l'arcaica severità del repertorio religioso ortodosso ed esprimono la voce di un popolo che canta la grandezza del mondo e del suo Creatore.
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