Troppi semi di guerra e morte. È l'ora del vero realismo
sabato 24 febbraio 2024

Caro Tarquinio,

le vittime delle guerre non sono solo dirette, ma anche indirette. E le tensioni sul grano scaturite dal conflitto in Ucraina, hanno dimostrato a tutti che le guerre possono produrre vittime indirette perfino a migliaia di chilometri di distanza. A maggior ragione là dove la guerra si combatte sul campo. Le evacuazioni e gli annegamenti avuti in Ucraina a seguito dell’esplosione della diga di Nova Kakhovka ne sono stati una triste conferma. L’Istituto Watson ha condotto ricerche su alcuni conflitti armati esplosi nell’area del Medio Oriente negli ultimi vent’anni, proprio per documentare il peso immane delle morti indirette causate dalla guerra. Il risultato è che le guerre in Afghanistan, Pakistan, Iraq, Siria e Yemen, hanno prodotto 4,5 milioni di morti, di cui 900mila per responsabilità diretta delle armi e 3,6 milioni per fame e malattie indotte dall’azione distruttrice delle bombe. Come dire che su 100 morti, 20 sono dovuti direttamente ai proiettili e 80 agli effetti collaterali della guerra.

Ad aggravare la situazione c’è che le guerre mietono vittime anche quando vengono dichiarate finite. E a rimetterci di più sono i bambini. Ad esempio, il Rapporto Watson, denuncia come in Afghanistan la situazione di grave dissesto economico, sociale e ambientale che la guerra ha lasciato dietro di sé, stia facendo crescere la mortalità fra i bambini al di sotto dei 5 anni. Anche malattie “normali” possono rivelarsi fatali in situazione di denutrizione o in assenza di presìdi medici. Nel 2022 quasi 4 milioni di bambini afghani sono risultati malnutriti, un quarto di loro in maniera così spinta da essere a rischio di morte. Del resto in Afghanistan il 95% della popolazione non mangia adeguatamente, mentre il 50% vive in stato di cronica insicurezza alimentare. Pure in Siria c’è una forte correlazione fra guerra, insicurezza alimentare e morti per colera, morbillo, tifo, leishmaniosi. Nello Yemen, infine, la distruzione delle vie di comunicazione, associata a vari altri disastri ambientali, ha prodotto collasso economico e fame. A tutt’oggi più di 17 milioni di yemeniti vivono nell’insicurezza alimentare mentre altri 7 milioni vivono in emergenza alimentare. Dall’inizio della guerra si stima che 85mila bambini sotto i 5 anni siano morti per fame e molti altri per epidemie, difterite in primis.

Le guerre producono anche contaminazione ambientale che attenta direttamente alla salute degli abitanti. Anche molti anni dopo il cessate il fuoco, si assiste alla comparsa di tumori, malformazioni congenite, disordini immunologici, provocati da metalli pesanti, fosforo, diossine, polveri sottili, non di rado anche uranio impoverito, rilasciati da bombe e proiettili. Una motivazione in più per condannare ogni tipo di guerra, alla scuola di don Lorenzo Milani, e per darci da fare per rafforzare i meccanismi di risoluzione pacifica dei conflitti, come impone l’art. 11 della Costituzione italiana.
Franco Gesualdi

Gentile Tarquinio,

sono rimasto molto impressionato dalla notizia evidenziata sulla prima pagina di “Avvenire” di domenica 11 febbraio, in merito alla situazione in Ucraina. C è un clima di terrore per individuare disertori e renitenti alla leva. Ci sono già 9.000 incriminati. Siamo allo stremo e non c’è via d'uscita. Mentre il Paese ha bisogno di armi per difendersi, Putin ha i suoi arsenali pieni di missili che continuano a devastare l'Ucraina giorno e notte. Cosa si può ancora tentare? Due anni fa Matteo Renzi aveva proposto di interessare Angela Merkel, con mandato dalla Ue, per cercare un possibile accordo tra le parti. Al punto in cui siamo, mi pare improponibile che sia Zelensky ad andare da Putin a mendicare, con il cappello in mano, una qualche intesa per fermare le armi. Sarà una grossa ingenuità la mia, ma Merkel potrebbe proporre di fare tacere le armi almeno per il tempo necessario all'Ucraina per indire le elezioni politiche. Un nuovo governo avrebbe meno condizionamenti nel prendere decisioni difficili per un popolo stremato ma orgoglioso della propria libertà. Mi rendo conto che la prima grossa difficoltà è se votare e come votare nelle zone contese. Ci dovrebbe essere poi una larga amnistia verso i disertori e renitenti alla leva e per coloro che hanno lasciato il Paese. Un altro punto da definire potrebbe essere la rinuncia di adesione alla Nato da parte dell'Ucraina, ma l'affermazione della sua libertà di aderire alla Ue. Quanto alle zone contese, comunque vadano le cose, si dovrà cercare di concordare uno Statuto particolare che accompagni a un percorso di convivenza pacifica, come abbiamo fatto noi con le popolazioni dell'Alto Adige…
Angelo Guzzon

Gentile Tarquinio,

vedo che lei è ancora su posizioni di due anni fa, ma bisogna pur domandarsi perché le guerre ci sono e quali sono le persone e i fatti che le hanno provocate. Papa Francesco ha più volte espresso le sue preoccupazioni, molto condivisibili, sulle guerre esistenti e ha anche cercato relativamente alla guerra russo-ucraina di fermarla, anche inviando nell'estate 2023 il cardinale Zuppi a Kiev e a Mosca e a Pechino e Washington. L'Ucraina sta combattendo per la propria libertà contro un criminale di guerra di nome Vladimir Putin sostenuto da un dittatore comunista di nome Xi Jinping. Ambedue hanno violato norme internazionali e patti stipulati, il primo in Ucraina il secondo a Hong Kong. Nel settembre 1938 Neville Chamberlain brillante statista sperando nella pace firmò con un altro criminale di guerra di nome Adolf Hitler l'accordo di Monaco ed è passato alla storia con una pessima fama. Inutile dimostrarsi deboli con i criminali! Chi ha invaso la Crimea nel 2014 è stato Putin con i mercenari che sono poi diventati la Wagner e soldati russi camuffati senza le divise militari. Gli stessi che hanno operato poi anche nel Donbass con il sostegno di Putin...
Giuseppe Gatti

Sì, nel «ripudio della guerra» e della sua logica e delle sue pratiche, sono sulle posizioni di due anni fa. E di cinque anni fa. E di dieci. E di venti... Porti pazienza il gentile dottor Gatti: sono tenacemente e da tempo su posizioni maturate oltre il travaglio per tracciare il confine tra violenza inaccettabile e giusto uso della forza. Più di quaranta anni di mestiere, di immersione cioè in una cronaca che ha cominciato a farsi storia, mi hanno fatto vedere e costretto a raccontare e commentare sui giornali che ho contribuito a realizzare una realtà evidente, amara e mobilitante: nella struttura della guerra non ci sono più – se mai ci son stati davvero – spazi cavallereschi. E la corsa a cancellare l’umanità dalla guerra, e tramite la guerra, si fa facendo vorticosa per le armi terribili di cui disponiamo e per l’orrore che con esse continuiamo a compiere. Soltanto le vere, sane, cooperative e ben calibrate azioni di polizia (interna e internazionale) meritano di essere considerate giuste.
Tutto il resto, lo dico ancora una volta con un’espressione di papa Francesco, è «cainismo»: replica deliberata e, persino, amplificata (perché elevata a dottrina e scelta strategica) del primo fratricidio. E in questo rinnovato e sistematico fratricidio – come ci ricorda con saggezza, e con l’eloquenza aspra dei dati, l’amico Franco Gesualdi nella riflessione che mi ha generosamente indirizzato in forma di lettera – le vittime sono dirette e indirette. E pesano tutte nello stesso modo di fronte a Dio, che vede e sa anche se noi ce ne infischiamo altezzosamente, e al giudizio della coscienza collettiva, che nessuno può tentare di addormentare all’infinito.
Ho anche smesso, e da un bel po’, di pensare che “per fare la guerra ne basta solo uno, mentre per fare la pace ce ne vogliono almeno due”. Anche per fare la guerra – a cominciare da quelle piccolissime e persino infantili – bisogna essere almeno in due, senza contare la massa di complici che, per ignavia o calcolo, non fermano e non disarmano i contendenti, anzi in qualche caso, per interesse o per deragliata solidarietà, li istigano e li armano di più. Certo, la resistenza al male e all’ingiustizia è sempre benedetta, ma la forza è giusta solo se non si fa strumento di aggressione, di oppressione e di omologazione e quando protegge senza ombra di dubbio gli innocenti e i deboli, e quando rinuncia a usare i corpi degli uomini e delle donne per schierarli e sacrificarli in battaglia, trasformati in pedine e in carne da cannone. La forza giusta, insomma, è nonviolenta, capovolge lo schema della guerra e lo svuota. E una simile forza, moralmente e praticamente, è il risultato e il senso dell’azione politica e diplomatica, che prevede gradualità, ma che in nessun momento si rassegna al massacro e mai dovrebbe alimentarlo come pervicacemente si sta facendo, rendendolo permanente.
Voglio ringraziare il lettore Gatti perché mi offre l’occasione, in civile contraddittorio, per ribadire questi concetti proprio nei giorni in cui siamo indotti a riflettere sul compimento del decimo anno di guerra in Ucraina, il secondo dalla massiccia invasione russa ordinata da Vladimir Putin. Un anno, questo 2024, che è anche il tredicesimo della guerra di Siria, cominciata nel giugno del 2011, e il decimo della guerra dello Yemen, che infuria dal 16 settembre 2014. E che è il terzo – era il 2021 – dal disvelamento dell’atroce imbroglio afghano, vent’anni di guerra aperta o mascherata condotta dai popoli delle libertà per lasciar ripiombare, infine, quel Paese e la sua gente, le donne per prime, nell’incubo del regime dell’illibertà. Non dimentichiamolo. Tutti gli alberi si riconoscono dai frutti, e i frutti delle guerre sono ormai solo e sempre marci o avvelenati.
Naturalmente, si possono operare ricostruzioni di fatti e situazioni che “legittimano” la nostra guerra e condannano la guerra degli altri. Così anche in Ucraina, dove la violenza di Putin, che c’è ed è esecrabile, sembra l’unica a essere riconosciuta, anche se unica non è stata negli anni che hanno fatto incubare e poi scatenare quel conflitto tanto «folle» quanto «evitabile» (parola, di nuovo, di papa Francesco). Così anche in Terra Santa, dove crocifissi dall’odio e dal dolore sono il popolo della Palestina, il non-Stato e la quasi non-più-terra, e il popolo d’Israele, lo Stato duramente assediato e assediatore. Ci sono sempre ragioni per scannarsi, ma mente chi osa dire che nella macelleria della guerra si ha ragione, mente vergognosamente.
Servirebbero mediazioni, autorevoli e straordinarie, a spezzare la spirale dell’orrore e a inaridire la fonte dell’odio? Forse sì, come suggerisce il lettore-Angelo Guzzon. Ma servirebbero certamente mediazioni corali. Servirebbe la decisione di non lasciare in pace chi fa la guerra assunta, insieme, da Oriente e da Occidente, da Sud e da Nord. Da Cina e Usa, dai Paesi del G20, dall’Unione Europea, dall’Unione Africana, dalle altre potenze emergenti associate (o in via di associazione) al Bric. Servono, insomma leader politici, più d’uno, capaci di dire come John Kennedy, nel 1962: «Che tipo di pace cerchiamo? Una pace vera. I nostri problemi vengono creati dall’uomo, perciò possono essere risolti dall’uomo. Perché in fondo il legame che ci unisce tutti è che tutti abitiamo su questo piccolo pianeta. Respiriamo tutti la stessa aria. Tutti abbiamo a cuore il futuro dei nostri figli. E siamo tutti solo di passaggio».
Davanti a un programma così netto, i soliti soloni dicevano e dicono: roba da utopisti... E invece questa visione, queste idee, sono state il motore di un’azione politica così vera e generosa, così realista e reale, da esser prese terribilmente sul serio. Sino all’assassinio dell’uomo che le propugnava e intendeva dar loro corpo grazie al suo enorme potere di presidente degli Stati Uniti d’America. Non si può dare ragione alla morte, e continuare a seminare guerra.

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