Georgina: io non dovevo nascere, no all’eugenetica
giovedì 1 febbraio 2024
Oggi la nascita di Georgina Kleege potrebbe fruttare ai suoi genitori fino a 5 milioni di dollari. Kleege è affetta da una forma ereditaria di cecità che, secondo i tariffari di due società legali americane, rientra nelle disabilità per le quali una madre e un padre possono farsi risarcire dal medico che non la identifica in utero. L’idea è che il feto avrebbe dovuto essere abortito, che la sua nascita è un errore. Nel corso della sua vita la scrittrice californiana ha percepito molte volte i dubbi altrui sul suo diritto di essere al mondo. Amici e vicini commiseravano la madre per il peso di avere una figlia con tanti bisogni e perché non avrebbe avuto nipotini. «La gente ha sempre dato per scontato che non avrei avuto figli per non riprodurre i miei geni difettosi - racconta la 68enne -. In due diverse occasioni, due donne mi hanno detto che avrebbero abortito se avessero saputo di portare in grembo un bambino cieco». Fin da ragazza Kleege si è unita a gruppi di disabili che lottano per condizioni che permettano loro di contribuire alla società. Ma è all’inizio degli anni Ottanta, con l’esplosione delle cause per “nascita sbagliata” (la prima risale al 1975) che il suo attivismo ha preso una direzione più chiara: quella di fermare questa forma di selezione. «Queste non sono cause per negligenza medica - precisa - ma casi che puniscono i medici che non hanno messo in pratica un’ideologia eugenetica». Da oltre trent’anni Kleege testimonia per la difesa in processi per wrongful birth, con la missione di combattere il messaggio che ci sono persone troppo imperfette per esistere. «Molti di noi avrebbero potuto essere abortiti se le nostre madri avessero avuto a disposizione i test», dice. Negli ultimi quarant’anni la docente di letteratura inglese ha osservato il pubblico americano accettare le tecnologie di diagnosi prenatale in base al presupposto che lo screening riduce l’incidenza di malattie e sofferenza. «In realtà, come società ci siamo attribuiti l’autorità di decidere chi ha il diritto o meno di nascere in base ad alcune caratteristiche. Fino a che punto andremo?». È notizia degli ultimi mesi che la ricerca è in grado di identificare in utero probabili varianti patogene associate al rischio di cancro ereditario. Significa che i medici americani potrebbero ora essere denunciati se non comunicano ai genitori un rischio di cancro del feto più elevato della media? «Questo tema è una sfida per le femministe come me che uniscono il sostegno ai diritti riproduttivi a una critica delle analisi del valore di un essere umano — continua Kleege —. Ma quando le anomalie fetali vengono usate come giustificazione per l’aborto, si rafforza l’idea che i bambini disabili opprimono le madri e che la maternità è qualcosa che le donne devono affrontare da sole». Per questo Kleege invita a testimoniare insieme a lei soprattutto donne: su sedie a rotelle, con cani guida, con un interprete del linguaggio dei segni, con cicatrici dovute ad anomalie del viso, con arti mancanti. Una comunità che compare in aula come «rappresentanti dei potenzialmente abortiti» per sottolineare che il sistema medico spesso esagera la sofferenza e il peso della disabilità. «Il pericoloso vuoto di informazioni sulla disabilità è il contesto in cui si forma l’atteggiamento del pubblico nei confronti della diagnosi prenatale e dell’aborto selettivo - spiega -. Le donne che aspirano ad avere un bambino perfetto stanno contribuendo a creare un mercato redditizio che sfrutta la paura della disabilità. Ma nessun bambino è difettoso. La disabilità non rovina il sogno di maternità di una donna». Kleege non è riuscita ad avere figli. Ma sa che essere genitore è una sfida in qualsiasi circostanza: «Se suo figlio diventasse disabile, qualsiasi madre farebbe del suo meglio per prendersene cura», evidenzia. La scrittrice spera che il suo attivismo aiuti a mantenere la giusta prospettiva su cosa significhi vivere bene. «La società annuncia una vita infelice e dolorosa ai genitori dei bambini che ritiene inadatti ad essere al mondo - conclude -, ecco perché due feti su tre con sindrome di Down vengono abortiti negli Stati Uniti. Ma la vita umana non è una competizione in cui tutti si piazzano in una classifica da uno a otto miliardi». © riproduzione riservata
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