sabato 16 giugno 2012
Vederci di tanto in tanto con occhi stranieri è una grazia.Vedere l'acqua che esce facile dai rubinetti, acqua benedetta e la buttiamo la santa domenica a lavare i nostri pneumatici insieme alle coscienze sciatte che ci comandano. E vedere le case che sono nostre, e se la cupidigia non ci divora, sono sicure e non ci schiantano al primo rabbrividire della terra. Poter poi camminare nelle città, a fronte alta se vogliamo e con un nome pronto da dichiarare. Lo pronunciamo una sola volta, e viene riconosciuto. E i figli. I nostri figli, che facciamo studiare, come deve essere, e hanno zaini e vestiti, e li portiamo in corsa al conservatorio o in piscina, quanta acqua!, e ci preoccupiamo che scelgano, economia, medicina o archeologia, come deve essere, e non sappiamo lo sgomento e insieme l'orrore di stringerli in braccio leggeri leggeri, quasi stritolati dalla pena di chi non può nulla per loro, che almeno dormano e non sentano la fame, perché non si sa dove cercare il pane.E poi l'assurdo nostro ridicolo correre strizzati in un tempo che intanto va con il suo bel passo regolare, pronto al ritmo del nostro piacere se solo lo volessimo, e invece dannato al nostro scappare, da tutti, da noi, dalla vita.Sì, è una grazia essere stranieri per quel che serve a vederci.
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