Signori Cardinali, fratelli e sorelle, vi accolgo con piacere al termine del convegno organizzato per commemorare il cinquantesimo anniversario dell’apertura a Roma del Pontificio Istituto di Studi Arabi e d’Islamistica. Ringrazio il Cardinale Grocholewski per le parole rivoltemi a nome di tutti, e il Cardinale Tauran per la sua presenza. Negli ultimi anni, nonostante alcune incomprensioni e difficoltà, sono stati fatti passi in avanti nel dialogo interreligioso, anche con i fedeli dell’Islam. Per questo è essenziale l’esercizio dell’ascolto. Esso non è soltanto una condizione necessaria in un processo di reciproca comprensione e di pacifica convivenza, ma è anche un dovere pedagogico al fine di essere «capaci di riconoscere i valori degli altri, di comprendere le preoccupazioni soggiacenti alle loro richieste e di fare emergere le convinzioni comuni» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 253). Alla base di tutto ciò vi è la necessità di un’adeguata formazione affinché, saldi nella propria identità, si possa crescere nella conoscenza reciproca. Bisogna fare attenzione a non cadere nei lacci di un sincretismo conciliante ma, alla fine, vuoto e foriero di un totalitarismo senza valori (ibid., 251; 253). Un comodo approccio accomodante,«che dice sì a tutto per evitare i problemi» (ibid., 251),finisce per essere «un modo di ingannare l’altro e di negargli il bene che uno ha ricevuto come un dono da condividere generosamente»(ibid.). Questo ci invita, in primo luogo, a tornare ai fondamenti. Quando ci accostiamo ad una persona che professa con convinzione la propria religione, la sua testimonianza e il suo pensiero ci interpellano e ci portano ad interrogarci sulla nostra stessa spiritualità. Al principio del dialogo c’è, dunque, l’incontro. Da esso si genera la prima conoscenza dell’altro. Se, infatti, si parte dal presupposto della comune appartenenza alla natura umana, si possono superare i pregiudizi e le falsità e si può iniziare a comprendere l’altro secondo una prospettiva nuova. La storia del Pontificio Istituto di Studi Arabi e d’Islamistica va proprio in questa direzione. Non si limita ad accettare quanto viene detto superficialmente, dando luogo a stereotipi e preconcetti. Il lavoro accademico, frutto di quotidiana fatica, va ad indagare le fonti, a colmare le lacune, ad analizzare l’etimologia, a proporre un’ermeneutica del dialogo e, attraverso un approccio scientifico ispirato allo stupore e alla meraviglia, è capace di non perdere la bussola del mutuo rispetto e della stima reciproca. Con queste premesse, ci si avvicina all’altro in punta di piedi senza alzare la polvere che annebbia la vista. I cinquant’anni del PISAI a Roma – dopo la sua nascita e i primi sviluppi in Tunisia, grazie alla grande opera dei Missionari d’Africa –dimostrano quanto la Chiesa universale, nel clima di rinnovamento post-conciliare, abbia compreso l’incombente necessità di un istituto esplicitamente dedicato alla ricerca e alla formazione di operatori del dialogo con i musulmani. Forse mai come ora si avverte tale bisogno, perché l’antidoto più efficace contro ogni forma di violenza è l’educazione alla scoperta e all’accettazione della differenza come ricchezza e fecondità. Tale compito non è semplice ma nasce e matura a partire da un forte senso di responsabilità. Il dialogo islamo-cristiano, in modo particolare, esige pazienza e umiltà che accompagnano uno studio approfondito, poiché l’approssimazione e l’improvvisazione possono essere controproducenti o, addirittura, causa di disagio e imbarazzo. C’è bisogno di un impegno duraturo e continuo al fine di non farci cogliere impreparati nelle diverse situazioni e nei differenti contesti. Per questa ragione si esige una preparazione specifica, che non si limiti all’analisi sociologica, ma abbia le caratteristiche di un cammino tra persone appartenenti alle religioni che, pur in modi diversi, si rifanno alla paternità spirituale di Abramo. La cultura e l’educazione non sono affatto secondarie in un vero processo di avvicinamento verso l’altro che rispetti in ciascuna persona «la sua vita, la sua integrità fisica, la sua dignità e i diritti che ne scaturiscono, la sua reputazione, la sua proprietà, la sua identità etnica e culturale, le sue idee e le sue scelte politiche» (Messaggio per la fine del Ramadan, 10 luglio 2013). Questo Istituto è molto prezioso tra le istituzioni accademiche della Santa Sede, e ha bisogno di essere ancora più conosciuto. Il mio desiderio è che diventi sempre più un punto di riferimento per la formazione dei cristiani che operano nel campo del dialogo interreligioso, sotto l’egida della Congregazione per l’Educazione Cattolica e in stretta collaborazione con il Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso. Nel cammino di approfondimento della verità, verso il pieno rispetto della persona e della sua dignità, possa il PISAI instaurare una fruttuosa collaborazione con gli altri Atenei pontifici, con i centri di studio e ricerca, sia cristiani che musulmani, sparsi nel mondo intero. Nella lieta circostanza di questo giubileo auguro alla comunità del PISAI di non tradire mai il compito primario dell’ascolto e del dialogo, fondato su identità chiare, sulla ricerca appassionata, paziente e rigorosa della verità e della bellezza, sparse dal Creatore nel cuore di ogni uomo e donna e realmente visibili in ogni autentica espressione religiosa. Vi chiedo per favore di pregare per me e di cuore vi auguro tutte le benedizioni.
Il dialogo islamo-cristiano, in modo particolare, esige pazienza e umiltà che accompagnano uno studio approfondito, poiché l’approssimazione e l’improvvisazione possono essere controproducenti o, addirittura, causa di disagio e imbarazzo.
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