Il mugnaio Arnold cui era stata sottratta l’acqua indispensabile per far funzionare il suo mulino da un barone che voleva allestirsi un vivaio privato cercò giustizia presso il tribunale, ma i magistrati che esaminarono la sua petizione erano persone corrotte e davano regolarmente ragione al barone.
Così il mugnaio si rivolse a Federico il Grande, il duro sovrano prussiano vincitore della Guerra dei Sette Anni. 'Ci sarà pure un giudice a Berlino', pare abbia scritto Arnold al suo re. Il quale lo prese in parola e fece incarcerare i giudici disonesti.
Il leggendario giudice di Berlino ieri è tornato. Anzi, per la verità ce n’erano due. Uno a Washington, l’altro a Lussemburgo. Ed entrambe le Corti hanno somministrato una lezione severa al quel populismo d’accatto che usa celarsi dietro una pretestuosa limpieza de sangre, un 'sangue e suolo' che già per i soli ricordi che suscita dovrebbe far accapponare la pelle. In mancanza di ciò, ci ha pensato la giustizia, quella vera.
La Corte Suprema americana ha così bloccato con verdetto a stretta maggioranza (5 voti contro 4, ma decisivo è stato quello del conservatore John Roberts) il tentativo di Donald Trump di invalidare il 'Daca' (acronimo di Deferred Action for Childhood Arrivals), il programma di protezione dei cosiddetti 'dreamers', gli immigrati entrati irregolarmente negli Stati Uniti quand’erano minori, che un decreto varato otto anni fa del presidente Obama aveva messo in condizione di poter lavorare legalmente, pur senza ottenere la cittadinanza americana.
Fin dai suoi primi momenti alla Casa Bianca Donald Trump aveva provato ad ostacolare tale programma, all’insegna di quel 'L’America agli americani', che gli aveva consentito di rastrellare consensi presso l’elettorato bianco – per lo più dislocato nel Midwest e negli Stati del sud – maggiormente impaurito (grazie anche a un’astuta campagna di disinformazione) dalla perdita di potere d’acquisto e di posti di lavoro e da quella che Trump aveva dipinto come 'l’invasione dei latinos' prossima ventura.
A far compagnia a Trump quest’oggi c’è anche Viktor Orbán, anche lui bacchettato da un’alta Corte, quella di Giustizia dell’Unione Europea con sede a Lussemburgo. Alla sbarra c’erano le restrizioni che il premier ungherese aveva imposto al finanziamento alle Ong, sottoponendole a uno screening minuzioso sulla natura delle donazioni provenienti dall’estero e l’obbligo quindi di identificarsi come 'agenti stranieri'. Il modello ispiratore di Orbán è – c’era da dubitarne? – Vladimir Putin, che nel 2012 aveva adottato questo provvedimento ufficialmente per impedire il riciclaggio di denaro.
Orbán invece ha adoperato questa legge come un grimaldello per far sloggiare George Soros, il multimiliardario di origine magiara che è un grande finanziatore delle Ong e – questo va detto – acerrimo oppositore del regime che Orbán ha instaurato nel Paese. L’allievo di Karl Popper è stato costretto a trasferire a Vienna la sua Central European University: bastava superare i 500mila fiorini (circa 1.500 euro) di finanziamento e si incorreva nei rigori del governo.
La Corte di Giustizia ha stabilito che la legge anti-Ong è discriminatoria e ingiustificata e contraria alle regole comunitarie che non prevedono limitazioni alla libera circolazione di capitali. Orbán dovrà prenderne atto, e modificare la legge. Per la verità lo dovrebbe fare il Parlamento di Budapest, per quello che ancora vale, visto che con la scusa del coronavirus il premier si era arrogato fino a ieri tutti i poteri (e si è dato la possibilità di riprenderseli direttamente con un’altra emergenza sanitaria), come i suoi illustri colleghi Lukashenko, Al-Sisi, Ortega, Maduro, Erdogan e come sta per fare – con più eleganza – lo stesso Putin.
In ogni caso oggi è un giorno di festa. Per i diritti inalienabili dell’uomo, per chi temeva d’essere deportato al di là della Barrera, quel muro che va da Tijuana a Ciudad Juárez e che Trump ha promesso di ultimare (l’Agenzia delle Dogane offre perfino la possibilità di seguire in streaming il progredire dei lavori). E anche per chi guarda alle Ong non soltanto come degli agenti provocatori che minano la sicurezza dello Stato e l’integrità sociale dei suoi cittadini. Armamentario, quest’ultimo, che populisti e demagoghi conoscono molto bene e adoperano di continuo. Per fortuna ogni tanto il giudice del mugnaio Arnold si rifà vivo.