giovedì 9 maggio 2024
A Verona convegno nazionale di Pastorale della Salute organizzato dall'Ufficio Cei. Povertà sanitaria, professioni di cura, fine vita, aborto: parla il direttore, don Massimo Angelelli
L'edizione 2023 del Convegno Cei di Pastorale della salute a Bari

L'edizione 2023 del Convegno Cei di Pastorale della salute a Bari

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È una delle scene più singolari del Vangelo: accanto alla piscina «chiamata in ebraico Betzaetà», a Gerusalemme, «un gran numero di infermi, ciechi, zoppi e paralitici » in attesa di gettarsi nell’acqua smossa da «un angelo», perché il primo a farlo «guariva da qualsiasi malattia fosse affetto». Il flebile lamento del paralitico – «Non ho nessuno che mi immerga» – smuove il cuore di Gesù – «Vuoi guarire?» – e si propaga sino a noi, interrogandoci sulla sanità e la cura. A scegliere questa potente immagine è l’Ufficio Cei per la Pastorale della Salute come tema per il suo convegno nazionale a Verona, del quale sono già in corso alcune delle 14 sessioni tematiche in attesa della plenaria dal 13 al 15 maggio all’Opera Don Calabria. Al centro la questione più attuale dell’intera sanità italiana: «Universalità e diritto di accesso alle cure».

«Questa pagina evangelica – spiega don Massimo Angelelli, direttore dell’Ufficio – pone un problema nuovo: altri vogliono essere guariti da Gesù, il paralitico invece solleva la questione di non avere nessuno che lo avvicini alla piscina dove avvengono le guarigioni. Dentro questa icona il malato è presente (il paralitico), la cura è disponibile (la piscina) ma manca il connettore: qualcuno che porti il malato dentro l’acqua. Chi offre oggi questo servizio? Chi avvicina la domanda di salute alla risposta di cura? In Italia c’è un ruolo istituzionale attribuito al Servizio sanitario nazionale. Oggi però, dati alla mano, l’avvicinamento alla cura è sempre più difficoltoso perché ci sono liste di attesa interminabili, le persone devono mettere mano al portafoglio per potersi curare e il sistema si sta contraendo: meno risposta sanitaria più dilatata nel tempo. A volte la disponibilità delle terapie cammina più lentamente delle patologie, e se i tempi di risposta non corrispondono il paziente può anche morire».

Su questa crescente “povertà sanitaria” cosa dice la Chiesa italiana?

Il nostro dialogo con le federazioni sanitarie ha facilitato l’emergere di una serie di istanze. In particolare appare evidente che il problema non è solo di finanziamenti: a mancare sono anche forme di coordinamento. I 136 miliardi assegnati alla Sanità sono la spesa più alta degli ultimi anni, intanto però diminuisce l’offerta: il nodo dunque è organizzativogestionale, a riprova che sono le risorse umane a far funzionare le macchine. Forse abbiamo puntato troppo su strutture e strumenti, dimenticando che l’asse portante del sistema di cura sono le persone. La proposta specifica della Chiesa allora è riportare al centro la cura come relazione prima ancora che terapia. Rileviamo una grande sofferenza dei curanti che si trovano subissati da richieste di erogazione di servizi e affogati nella burocrazia, e il tempo della relazione col paziente viene meno. Il risultato è che il professionista sanitario che aveva scelto il suo lavoro per curare persone si trova assediato dalle scartoffie. Quanto al paziente, può anche ottenere la terapia ma c’è differenza tra essere e sentirsi curati: così finisce per non percepire un sistema che lo accompagna, e rimane scontento della sua esperienza con la sanità. Ricordiamo sempre che il Sistema sanitario sono persone che curano persone.

A cosa sta portando il dialogo con le professioni sanitarie? Nella sessione del convegno Cei con loro, domani, saranno presenti 11 delegazioni...

Tutte le realtà professionali della sanità hanno accettato il nostro invito a fare un percorso di riflessione comune. Tutti i professionisti della salute rappresentati dagli 11 consigli nazionali che dialogheranno con la Chiesa sommano un milione e mezzo di curanti, cioè tutti. E con loro la Chiesa conviene che il Servizio sanitario nazionale deve mantenersi equo, solidale e universalistico. Ascoltando i curanti, poi, la Chiesa italiana compie nei loro confronti un gesto di cura.

Verso dove è diretto questo percorso della Chiesa con le professioni sanitarie?

Al termine del convegno di domani pubblicheremo un manifesto firmato dagli 11 presidenti e dalla Cei per combattere le povertà sanitarie. Alla fine del percorso, nell’aprile del 2025, verrà firmato un documento sui valori condivisi dalle 11 professioni sanitarie, curato da un gruppo di lavoro ad hoc che ha già compiuto i primi, interessantissimi passi riflettendo attorno al concetto fondativo di persona.

In mezzo a tante questioni aperte, come vede cambiare la pastorale della salute?

Con il Covid ci siamo dovuti confrontare con un nuovo concetto di salute, che riguarda veramente tutti. Se eravamo convinti che la malattia fosse un problema solo di alcune persone, la pandemia ci ha insegnato che la salute è un tema trasversale e universale. La Chiesa ci si sta confrontando, mentre si aprono nuovi spazi di collaborazione e opportunità pastorali, evidenti nel fatto che nel tempo della malattia emergono le esigenze spirituali delle persone: come c’è la cura del corpo e della psiche, ormai è sempre più chiaro che esiste anche una cura spirituale. Un altro punto fermo consolidato in questi anni è il tandem con la sanità: se per tanti anni il cappellano ha operato nelle strutture a beneficio dei malati, i curanti oggi sono diventati tra i primi destinatari dei gesti di attenzione pastorale. Un terzo elemento importante è il rinnovamento degli operatori pastorali della salute, l’inserimento dei diaconi, una nuova responsabilizzazione dei ministri straordinari della Comunione e il coinvolgimento delle parrocchie, perché i malati saranno sempre più a domicilio e porranno alle comunità cristiane sul territorio una crescente domanda spirituale.

Che ruolo vede nel futuro per le parrocchie nella pastorale della salute?

I tempi crescenti di cura a domicilio e la diffusione delle malattie croniche suggeriscono alle parrocchie di strutturarsi in maniera capillare grazie soprattutto ai diaconi e ai ministri straordinari della Comunione, che diventano operatori di collegamento tra la comunità cristiana e chi non può accedere alla vita parrocchiale. Vogliamo combattere le solitudini e l’isolamento. Il nostro obiettivo è costruire comunità che non lascino solo nessuno.

Qual è la posizione della Chiesa italiana nel dibattito sul “fine vita”?

Non è mutato: la Chiesa afferma con forza e in ogni occasione il valore della vita, che resta intangibile. Su questo bisogna essere molto chiari e molto fermi, perché nei Paesi dove abbiamo visto avanzare forme legislative eutanasiche si sono aperti scenari assai preoccupanti, con quelle che sembravano piccole aperture diventate autentici squarci. Nel pieno rispetto della libertà di scelta della persona, va riaffermato il valore della vita e il fatto che soluzioni di morte non possono essere proposte dal Servizio sanitario nazionale: in altre parole, quella quota di soldi pubblici investiti nella sanità serve esclusivamente alla cura delle persone, non può essere destinata ad altre soluzioni, estranee al Servizio sanitario, che non è costruito per questo. Quanto a una soluzione legislativa, tema molto complesso sul quale la Chiesa sta riflettendo, ribadiamo che non si può sopprimere la vita di nessuno, non esiste un “diritto alla morte” – questo dev’essere chiaro –, e va anteposto a qualunque richiesta di sospensione dei trattamenti l’accertamento della presenza di trattamenti di cure palliative che accompagnino la fase conclusiva della vita, come criterio previo. Affrontare il tempo della malattia senza dolore è un diritto dei cittadini sancito da una legge dello Stato. Se non ci sono queste condizioni credo che sia assolutamente improprio parlare di altri scenari.

Che idea si è fatto del confuso attacco alla presenza dei volontari nei consultori per prevenire il ricorso all’aborto?

Non dobbiamo aver paura di stare vicini alle persone nei momenti di sofferenza. Il ruolo dei volontari nei consultori, e dei consultori stessi, non è quello di erogare prestazioni ma di farsi carico della sofferenza di una donna che si trova davanti a una scelta. Dovremmo mettere in campo tutti gli strumenti per sollevarla dalla sua condizione di grande fatica. Non capisco perché qualcuno abbia paura che si possano aiutare persone in difficoltà...

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