Malapolitica, quando la questione morale va in cortocircuito
venerdì 19 aprile 2024

C’è bisogno di rompere il circolo vizioso innestato dallo stillicidio quotidiano di notizie sugli intrecci tra politica e illegalità. Spesso, infatti, alla condanna, subentrano rapidamente stanchezza, rassegnazione, noia. Accade anche perché c’è qualcosa di sbagliato nel modo in cui il circuito politico-mediatico trasmette tali notizie. Accompagnate da altre reazioni della politica e presentate diversamente dai mezzi di comunicazione, le notizie di crimini contro la pubblica amministrazione e l’interesse collettivo potrebbero svolgere tutt’altra funzione. Ispirando maggiore determinazione nella lotta contro la corruzione, modi più incisivi per affrontarla, indagini sulle sue cause più profonde ecc. Ma ciò avviene poco, anche per l’uso politico che si fa della questione morale.
A dispetto, infatti, delle migliori intenzioni – che, peraltro, non sempre ci sono – se agitata da un singolo partito o schieramento, la questione morale appare evocata in funzione di un vantaggio di parte, rispondente a un calcolo interessato, strumentale a uno spostamento di consensi ecc. Non aiutano a combattere la corruzione iniziative istituzionali che suscitino il sospetto di essere adottate per colpire avversari politici (specie quando questi sono vittime e non complici dell’illegalità). Né lo fa la pur doverosa “pulizia” che i partiti devono realizzare al loro interno, se si salda a strategie di concorrenza elettorale o a concentrazioni di potere che soffocano il pluralismo (le “correnti” non sono necessariamente un male). Utilizzata come arma di lotta politica, la questione morale diventa strumento di delegittimazione dell’avversario che intacca le fondamenta stesse della democrazia. Tale uso, inoltre, allontana l’attenzione dell’opinione pubblica da ciò che costituisce il compito prioritario dei partiti: contribuire «a determinare la politica nazionale», come recita l’art. 49 della Costituzione. Oggi ciò significa affrontare questioni come la pace nel mondo, l’immigrazione non trattata come emergenza ma come fenomeno epocale, il futuro dell’Europa, il declino della sanità pubblica ecc.
Sono molti, insomma, gli effetti negativi dell’uso politico della questione morale. Ma tale uso gode immeritatamente di buona fama, radicata nel cortocircuito populista tra giustizia e politica che è stato all’origine della Seconda Repubblica. All’inizio degli anni Novanta, la scoperta di un sistema corruttivo diffuso, Tangentopoli, ha innestato un’inchiesta giudiziaria, Mani Pulite, che ha ispirato l’illusione di eliminare la corruzione eliminando persone o partiti considerati suoi responsabili politici. Ma era, appunto, un’illusione. La scomparsa delle forze politiche della Prima Repubblica non ha eliminato la corruzione e non poteva essere diversamente. Non sono infatti i partiti in quanto tali la causa della corruzione, anche se – come già detto – spetta loro vigiliare attentamente per escludere dalle loro fila chi la pratica. Ma la soluzione non è neanche nell’assunzione da parte loro delle funzioni della giustizia. Per affrontare questi problemi, ai partiti si chiede non una funzione diretta ma indiretta. Contro l’illegalità nella vita pubblica serve, infatti, un solido edificio politico-istituzionale, una effettiva divisione dei poteri, il concorso di molteplici competenze, una costante opera educativa ecc. C’è bisogno inoltre di leggi rigorose, strategie mirate, operazioni efficaci. Occorre garantire alla magistratura il massimo sostegno senza interferire nella sua azione. Non meno importanti sono iniziative economiche, sociali e culturali: parla da sé che il malaffare emerso a Bari, in Puglia, in Sicilia e altrove ruoti spesso intorno a voti comprati e venduti per 50 euro o con la promessa di un posto di lavoro. C’è infine necessità di grandi soggetti collettivi che promuovano serrati dibattiti, forme efficaci di selezione della classe dirigente, partecipazione di molti alla vita pubblica. Capaci, cioè, di aiutare una società civile più fragile di come viene spesso descritta ad essere viva, forte, dinamica. Solo così è possibile prosciugare l’acqua in cui prosperano corruzione e illegalità.
Ciò che spetta ai partiti, insomma, non è poco. Purché restino nel campo loro proprio, così come la magistratura non deve invadere quello della politica. Per attuare tale divisione dei compiti e favorire una virtuosa cooperazione tra attori diversi non c’è bisogno di complicate riforme né, tantomeno, di ridisegnare gli equilibri di potere in un senso o nell’altro. C’è bisogno invece che tutti maturino un senso più rigoroso delle proprie responsabilità specifiche e che un patto tra società, politica e istituzioni sorregga questa maturazione. Prendendo atto che la confusione populista tra giustizia e politica alla radice della Seconda Repubblica indebolisce e non rafforza la democrazia.

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