mercoledì 22 maggio 2024
Di fronte alle sfide della cultura e della mentalitò presente, monsignor Staglianò, presidente della Pontificia Accademia di teologia rilancia la proposta della "Pop Theology"
Giovani in preghiera alla Gmg di Lisbona

Giovani in preghiera alla Gmg di Lisbona - Agenzia Romano Siciliani

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«L’immaginazione è più grande del sapere». Non è la sentenza di un artista! È la convinzione di Albert Einstein, definito comunemente la “cattedrale della ragione”. D’altra parte, un pensatore razionalmente rigoroso come Cartesio ebbe a dire che «la ragione non è nulla senza l’aiuto dell’immaginazione».

Cosa è la “Pop-Theology”? Un Manifesto in 10 punti – che si impegna a scandagliare i suoi possibili significati, quasi costruendo una prima mappa del suo senso scientifico – così la presenta: «Se la teologia vuole eseguire il suo compito, dovrà parlare oltre l’ambito concettuale dell’accademia e cercare un nuovo linguaggio comunicativo che includa una conoscenza della fede incarnata e connessa corrispondente alle modalità culturali con cui il popolo scopre e vive il senso della propria vita. Cosa accadrebbe alla teologia accademica (=scientifica) se decidesse finalmente di parlare all’intelligenza emotiva della gente comune, di tutti i giovani? Integrerebbe, nell’esercizio della sua razionalità, l’immaginazione e, attraverso di essa, la poesia e la letteratura (in ogni forma, anche in quella delle canzonette popolari), acquisendo nel suo linguaggio nuovi registri linguistici estetici e artistici. Così aiuterebbe la nuova evangelizzazione a produrre nuove immaginazioni cristiane del mondo e di Dio, dando vita a una nuova “teologia dell’immaginazione” – una vera Pop-Theology- con l’allargare lo spazio sapienziale di esercizio della ragione e spingerla “oltre”, “sempre a venire”, comunicando soprattutto ai giovani, con “questo nuovo linguaggio”, la bellezza del Dio cristiano, solo e sempre amore».

L’obiettivo di un simile progetto teologico è chiaro: si tratta di una rinnovata intrapresa culturale che aggiorni il linguaggio e le modalità complessive della comunicazione della fede. Questa “intrapresa culturale” sarà come l’avvio di una teologia popolare. Il teologo Francesco Cosentino, nella sua bella prefazione a Sulle note di Dio. Pop-Theology per far scoprire ai giovani la bellezza della fede (Rubbettino 2020) coglie nel segno parlando di una proposta «che riesce a svecchiare la predicazione cristiana, a liberarla dalle maschere di una religiosità senza vita e a presentare la straordinaria bellezza dell’umanità di Gesù, attraverso i linguaggi artistici, primo fra tutti quello musicale». La Pop-Theology si auto-comprende come una teologia “in uscita”, affinché la teologia esca dal cerchio elitario della pura accademia, riservata a pochi aristocratici del pensiero. Già il primo punto del Manifesto lo stabilisce, indicando quale deve essere la missione futura dei teologi: «È carità intellettuale (Antonio Rosmini), l’impegno etico di traslocare le scoperte della scienza teologica in parole sensate che giungano al cuore stesso del senso comune, dunque a tutti». E non è proprio questo che papa Francesco sta chiedendo da tempo?

Monsignor Antonio Staglianò

Monsignor Antonio Staglianò - Agenzia Romano Siciliani

Una “teologia in uscita” che corrisponda alla “Chiesa in uscita”. Sintagmi che non dovrebbero restare “simpatici slogan”. Perciò il Papa ha insistito sulla «teologia sapienziale» nella sua lettera apostolica Ad theologiam promovendam (1° novembre 2023), rilanciandola il 10 maggio 2024 nel suo saluto alla delegazione dell’International Network of Societies for Catholic Theology: «Benedetto XVI chiedeva giustamente a tutte le scienze di allargare i confini della razionalità scientifica in senso sapienziale. Questo allargamento deve avvenire anche nella teologia, perché sia sapere critico per la vita di ogni essere umano e del Popolo di Dio, unendo scienza e virtù, ragione critica e amore. Perché la fede cattolica è fede che opera attraverso la carità, altrimenti è fede morta (cfr Gc 2,26). La teologia sapienziale è, allora, teologia dell’amore, infatti “chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore” (1 Gv 4,8)». La Pop-Theology è “un” tentativo pratico di realizzare questa teologia sapienziale, perciò è una proposta dinamica e concreta. Chi avesse dubbi sulla portata scientifica del progetto – sulla valenza epistemologica, per dirla in termini tecnici – può leggere Il Metodo in Teologia di Bernard Lonergan, in quella «ottava specializzazione funzionale del metodo trascendentale» denominata Comunicazione, senza la quale tutto il lavoro teologico-dottrinale delle prime sette specializzazioni non serve a nulla.

E d’altra parte, domando: a cosa serve l’aver scoperto nella teologia del XX secolo il “cristocentrismo obiettivo” (la verità evangelica che Gesù, il Salvatore, è prima di Abramo, prima di Adamo e prima che il mondo fosse), se il nostro popolo cattolico ancora vive con spiritualità, devozioni e preghiere “amartiocentriche” (nelle quali cioè la visione della salvezza dipende rigidamente dal peccato di Adamo)? Chi s’impegna a “istruire criticamente” le ragioni perché il nostro popolo non creda che ci sia un qualsiasi rapporto tra il Padre di Gesù e la violenza, per cui il Dio agape non punisce e non castiga, ma cerca il peccatore con la sua infinita misericordia? Tutti sanno che “Dio è misericordia, però è anche giusto”, così l’appello al Dio giusto blocca l’espandersi smisurato della sua misericordia: chi s’impegna a spiegare (dunque a offrire le ragioni della speranza, secondo 1 Pt 3,15) che la giustizia di Dio non limita affatto la sua misericordia, anzi, la realizza nella sua illimitatezza?

Perciò, al punto 8 del Manifesto è scritto che «Pop-Theology è esercizio dell’intelligenza critica dello sguardo controintuitivo nel vissuto cristiano: mostra che nei riti praticati, nelle apparenze religiose e persino nelle idee su Dio non è tutto oro quello che luccica». E, dunque, «non è citare la canzonetta del cantante, ma piuttosto rispondere criticamente a interrogativi che interpellano il vissuto popolare della fede cristiana» (punto 5). È «osare sulla via del paradosso, per educare alla riflessività critica ogni credente, con una divulgazione non negligente delle verità della fede, oltre gli equivoci su Dio della pratica credente» (punto 6).

Non è un caso che il sottotitolo di Pop-Theology per giovani (Rubbettino 2018) sia “autocritica del cattolicesimo convenzionale per un cristianesimo umano”. Il Figlio di Dio ci salva attraverso la sua umanità “bella e buona” («strumento congiunto», disse san Tommaso) con la quale raggiunge l’umanità di tutti, come riscatto e liberazione da ogni barbarie, specialmente quella della guerra. E però, l’umano-che-è-comune (Pierangelo Sequeri) va ben interpretato e raggiunto nel suo dramma, nel suo “essere carne”, anche nei luoghi dove potrebbe sbiadire la sua bellezza, o perdersi del tutto. Perché proprio là – nel costituirsi della barbarie dal volto umano – si perde lo splendore umano dell’immagine e somiglianza di Dio e Dio muore, nell’estromissione culturale programmata dalle ideologie di gruppi, o nel sentimento personale del rifiuto del Dio guerriero che fomenta l’odio.

Al recente “Eurovision Song Contest 2024” le proteste per la partecipazione di Israele alla gara canora hanno coinvolto pure i cantanti in gara. È saltata la conferenza stampa dei cosiddetti “Big 5” (Italia, Francia, Germania, Spagna e Regno Unito) ma Angelina Mango, in concorso per il nostro Paese, si è presentata in sala stampa stupendo i cronisti, con una cover di Imagine di John Lennon, volendo esprimere «i miei pensieri a modo mio con le mie parole [...]. Ora voglio lasciar parlare la musica». In quel contesto, il significato di Imagine risultò piuttosto inequivoco: perché accada la pace nel mondo sarà bene che non esistano paradisi, religioni e nessun Dio in cielo. Perché? Perché sono “motivi” per cui uccidere o morire. L’esatto contrario del Vangelo di Gesù e di quanto papa Francesco va dicendo per purificare l’idea di Dio da ogni traccia di violenza: «Agire con violenza in nome di Dio è satanico». E però i milioni di giovani che non vanno più in chiesa ad ascoltare le prediche, si trovano appresso ai cantanti a “ingerire” (spesso acriticamente) i loro messaggi di vita e di senso per vivere, spesso lontani da quelli cristiani e cattolici. C’è bisogno di Pop-theology? Si, per tutti, e non solo per i giovani.

Presidente della Pontificia Accademia di Teologia

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