lunedì 22 aprile 2024
Gli elettori hanno approvato 9 degli 11 quesiti del referendum per rafforzare i poteri dello Stato contro la criminalità. Da “isola di pace”, il Paese è ora l'undicesimo più violento al mondo
Un soldato voto al referendum del 21 aprile

Un soldato voto al referendum del 21 aprile - ANSA

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Militari di pattuglia in strada insieme ai poliziotti, estradizione dei narcotrafficanti, condanne più pesanti per reati come terrorismo o omicidio. Sono alcune delle misure approvate con il referendum e la consulta popolare che si sono tenuti ieri in Ecuador. Una grossa vittoria per il presidente conservatore Daniel Noboa, che è riuscito ad ottenere l’approvazione popolare per rafforzare i poteri dello Stato nel contrasto alla criminalità organizzata.

Secondo i risultati preliminari il Consiglio nazionale elettorale (Cne), il giovane leader ha ottenuto consensi in nove degli 11 quesiti posti, con una media del 65%. Sono state rigettate solo le domande riguardanti il ritorno del contratto lavorativo a ore e l’applicazione dell'arbitrato internazionale per le controversie commerciali tra l’Ecuador e le imprese straniere, rispettivamente con il 64,88% e il 68,83%.

Un risultato che il presidente ecuadoriano Daniel Noboa ha subito festeggiato descrivendolo un «trionfo» e sostenendo che ora ci sono «gli strumenti per combattere la criminalità e riportare la pace nelle famiglie». Degli oltre 13 milioni di ecuadoriani chiamati al voto, circa il 28% non si è recato alle urne, 8 punti percentuali in più rispetto alla media di astensionismo in questo tipo di consultazioni. Il presidente dovrà presentare entro cinque giorni il progetto di legge per ogni quesito approvato e l'Assemblea nazionale avrà un massimo di 60 giorni per discutere e approvare le riforme.

La vittoria del sì era data per favorita, ma gli esperti ritenevano potesse essere compromessa dalla recente crisi diplomatica con il Messico, esplosa dopo l’irruzione della polizia nell’ambasciata a Quito, e condannata da tutta la comunità internazionale. Ad una settimana dal voto, nel Paese è scoppiata anche una crisi energetica che ha provocato lunghi blackout e a cui Noboa ha reagito denunciando e chiedendo le dimissioni della sua ministra per l’Energia, Andrea Arroba, ritenendo che volesse sabotare la consultazione popolare. Durante le votazioni di ieri non sono mancate alcune tensioni: il direttore del carcere El Rodeo, nella provincia di Manabí, è stato ucciso da un gruppo di uomini armati mentre pranzava con la famiglia, e i militari sono dovuti intervenire per sedare una nuova rivolta scoppiata nel carcere di Los Ríos.

L’ex presidente Rafael Correa ha duramente criticato il plebiscito, ricordando che «sono stati spesi 62 milioni di dollari per una consultazione non necessaria» e ha aggiunto: «Siamo di fronte a un uomo che non ha limiti né scrupoli, che voleva assomigliare a Bukele (l’autoritario presidente di El Salvador a cui Noboa guarda con favore), ma che in realtà assomiglia a Caligola, il giovanissimo imperatore romano che impazzì perché non sapeva come gestire il potere».

In carica da novembre, Noboa ha fatto della lotta alla criminalità la sua bandiera. Da “isola di pace” a undicesimo paese più violento al mondo: negli ultimi anni l’Ecuador è diventato un importante centro strategico per le spedizioni di cocaina, prodotta in Perù e in Colombia, verso gli Stati Uniti e l’Europa. Solo nel 2023 sono stati registrati circa 8mila omicidi. Per rispondere all’ondata di caos indiscriminato delle bande, lo scorso gennaio Noboa aveva dichiarato lo stato di emergenza – da poco concluso – e il “conflitto armato interno”, designando 22 gang di narcotrafficanti come gruppi terroristici. Una reazione arrivata dopo giorni di violenze che erano sfociate nell’irruzione di un commando di uomini armati negli studi dell’emittente televisiva TC a Guayaquil. Le immagini del blitz erano state trasmette in diretta ed erano presto ribalzate anche in Europa. Proprio oggi è stato catturato a Puerto Quito, nella provincia di Pichincha, Fabricio Colón Pico, leader della gang dei Los Lobos, associati al cartello Jalisco Nueva Generación, che era tra i 32 detenuti che lo scorso 9 gennaio erano evasi dal carcere di Riobamba.

È il primo risultato della strategia di Noboa. Ma la militarizzazione della lotta contro il narcotraffico, guardando agli esempi di Messico, Colombia e Brasile, non sempre porta ai risultati sperati. La “guerra alla droga” messicana, sotto l’ex presidente Felipe Calderón, non solo non è stata vinta attraverso la mobilitazione militare ma ha portato a una crescente violenza e a un numero di omicidi che è raddoppiato rispetto al mandato precedente. In Colombia, dove la forza militare è stata a lungo usata contro il traffico di droga, ci sono stati scandali come i “falsi positivi”. Numerosi membri dell'Esercito nazionale colombiano si sono resi responsabili di omicidi extragiudiziali di civili innocenti fatti passare per guerriglieri uccisi in combattimento per ottenere più riconoscimenti. Ma il modello che sembra seguire più da vicino Noboa è quello del salvadoregno Bukele, che di fatto ha utilizzato la questione della sicurezza per mantenere uno stato di eccezione permanente, con incarcerazioni di massa e processi sommari.

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