lunedì 6 maggio 2024
Falliti i tentativi di mediare una tregua. Il capo della Cia vola a Doha per cercare in extremis di scongiurare l'offensiva sulla città da 1,3 milioni di persone. Smentita la chiusura del valico
I profughi cominciano a lasciare Rafah est, la zona più vicina al confine israeliano

I profughi cominciano a lasciare Rafah est, la zona più vicina al confine israeliano - Reuters

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L'aveva annunciato e si accinge a farlo. La linea estremista del governo di Benjamin Netanyahu ha mantenuto la sua promessa, fatta agli esponenti dell'ultra destra messianica che lo sostengono, e al contempo la sua minaccia, ad Hamas e alla Jihad islamica ma di fatto a tutti i palestinesi nella Striscia di Gaza. L'ora dell'offensiva su Rafah si avvicina. L'esercito ha ordinato stamani l'evacuazione di almeno 100mila persone dalla parte orientale della città dell'estremo Sud, che sette mesi fa contava poco più di 300mila residenti e che è da mesi gremita di 1,3 milioni di persone, sfollate e ammucchiate in improvvisati campi profughi. Il quotidiano israeliano Ynet, citando fonti palestinesi, scrive che l'Egitto ha chiuso il confine, ma fonti Ansa sul posto smentiscono: il valico di Rafah stamani è regolarmente operativo. Si tratta di uno snodo cruciale per le operazioni umanitarie: da lì entra la maggior parte degli aiuti alimentari e sanitari - tramite i convogli dei viveri, acqua potabile e medicinali donati da moltissimi Paesi e immagazzinati nel Sinai egiziano - e da lì escono alcuni feriti e i fortunati che, in un modo o nell'altro, ottengono l'agognato permesso di lasciare l'inferno. Il timore del Cairo è un'irruzione di massa di disperati.

Le Forze di difesa israeliane informano di avere chiesto ai civili di spostarsi in una zona "umanitaria" ampliata nelle aree di al-Mawasi e Khan Younis. La prima è una costa desertica, sabbiosa, dove sono sorti alcuni accampamenti, senz'ombra e senz'acqua. La seconda è la città più importante della Striscia meridionale, teatro di guerra per mesi, in gran parte distrutta. Evacuata da tempo. Il portavoce militare ha annunciato che "c'è stata un'ondata di aiuti umanitari", che l'esercito "ha ampliato l'area umanitaria ad al-Mawasi" e che quest'ultima comprende "ospedali da campo, tende e maggiori quantità di cibo, acqua, farmaci e forniture aggiuntive". Per questo ci sarà "il graduale spostamento dei civili nelle aree specificate". Le informazioni sullo "spostamento temporaneo - ha aggiunto - saranno trasmesse attraverso manifesti, messaggi Sms, telefonate e trasmissioni mediatiche in arabo".

L'allarme internazionale per l'offensiva su Rafah si leva da mesi, anche da parte degli Stati Uniti. Si tratta dell'ultima città ancora in piedi nella Striscia, nonostante siano parecchi gli edifici danneggiati o distrutti da bombardamenti mirati. L'unico luogo dove ancora esistano commercio, negozi, una parvenza di vita ordinaria. L'unica zona rifugio abitabile, sia pure miseramente, anche perché è la prima dove il sostegno umanitario internazionale riusciva finora ad arrivare.

Nella notte sono proseguiti i raid sulla Striscia e in particolare su Rafah. Nel campo profughi di Yabna a Rafah e nei dintorni di al-Salam, almeno 16 persone sono rimaste uccise. Nella giornata di domenica, in un attacco con razzi nella zona meridionale di Kerem Shalom, rivendicato dalle Brigate al-Qassam braccio armato di Hamas, sono morti tre soldati israeliani e altri 12 sono rimasti feriti.

Trattative ferme, la Cia a Doha. «Dagli Usa uno stop alle armi»

Dopo il nuovo stallo dei negoziati al Cairo per una tregua, che nei giorni scorsi era apparsa vicina, oggi i mediatori di Stati Uniti, Egitto e Qatar fanno un tentativo in extremis con una riunione di emergenza a Doha. Presente il capo della Cia, William Burns. Israele e Hamas si rinfacciano reciprocamente la responsabilità del fallimento dei colloqui. Secondo una fonte israeliana citata dal New York Times, sarebbero risultate decisive le dichiarazioni di Netanyahu che ieri è tornato a sbandierare l'attacco a Rafah.

Sempre da fonti di stampa americane, arriva la notizia che per la prima volta Washington avrebbe interrotto la fornitura di armi a Tel Aviv, pur senza togliere il proprio sostegno all'alleato. Lo rivela il sito Axios, solitamente beninformato. Le pressioni sulla Casa Bianca sono crescenti, anche per le proteste nelle università. Venerdì scorso, decine di eletti democratici al Congresso hanno chiesto in una lettera al presidente Joe Biden di considerare la sospensione delle vendite di armi a Israele se non cambia impostazione.

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