mercoledì 8 maggio 2019
La mobilitazione, la raccolta di firme, la testimonianza dei parenti e un contatore che scandiva i giorni dell'ingiusta carcerazione
Il direttore Marco Tarquinio, a sinistra, nella redazione di Avvenire il 24 febbraio con la figlia di Asia Bibi Eisham e il mariti Asiq Masih

Il direttore Marco Tarquinio, a sinistra, nella redazione di Avvenire il 24 febbraio con la figlia di Asia Bibi Eisham e il mariti Asiq Masih

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Era un martedì pomeriggio, quel 9 novembre 2010, quando la notizia della condanna di Asia Bibi è arrivata in redazione. Appena poche righe d’agenzia per comunicare il duro verdetto del tribunale di Nankama, emesso due giorni prima, contro la contadina di Ittanwali, giudicata colpevole di blasfemia. Fin da quel momento, Avvenire si è schierato al fianco di quella donna coraggiosa, allora sconosciuta, disposta ad andare al patibolo pur di non rinnegare la propria fede. Impossibile contare gli articoli in cui il quotidiano ha raccontato nel dettaglio la vicenda in questi nove, lunghi anni.

Fin da subito, il 14 novembre 2010, la foto della donna e la scritta «Salviamo Asia» è comparsa nella pagina dedicata alla lettere. Dall’8 dicembre 2012, abbiamo iniziato a pubblicare il contatore che è terminato il 31 ottobre 2018, dopo aver registrato il 3.421esimo giorno di carcere per Asia. Quell’8 dicembre di sette anni fa, Avvenire ha pubblicato in prima pagina la lettera-appello della donna in chiedeva di scrivere al presidente pachistano per farla tornare dai suoi familiari.

Nei mesi seguenti, abbiamo raccolto oltre 31mila firme, consegnate, il 6 marzo 2013, all’ambasciatrice di Islamabad a Roma, Tehmina Janjua. Il 24 febbraio 2018, il marito, Ashiq Masih e la figlia Eisham hanno fatto visita alla redazione romana del quotidiano, ospiti del direttore Marco Tarquinio.


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