martedì 4 febbraio 2020
È uscito in Francia il libro della mamma pachistana perseguitata per la sua fede: «Hanno pregato per me. In carcere mi chiedevo se meritassi tanti onori e attenzioni»
Asia Bibi e Anne-Isabelle Tollet

Asia Bibi e Anne-Isabelle Tollet - Copyright François Thomas

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«Se avessi rinnegato la mia religione cristiana e mi fossi convertita all’islam, non sarei qui davanti a voi». Dopo un decennio di prigionia e tribolazioni, ormai da donna libera benché costretta a vivere sotto falsa identità in Canada, la madre pachistana Asia Bibi riassume con questa riflessione satura di fierezza il senso profondo del suo calvario, mai disertato da una speranza tenacemente aggrappata alla fede. Le tappe, gli interrogativi lancinanti, i lampi d’intima preghiera, i retroscena di una storia che ha commosso il mondo intero sono raccontati adesso in prima persona nel toccante libro “Enfin libre!” (Finalmente libera, appena uscito in Francia per Editions du Rocher), scritto con la giornalista francese Anne Isabelle Tollet, che si è battuta per il rilascio della contadina pachistana, con altri colleghi, compresi quelli di Avvenire, che fin dall’inizio della vicenda si è schierato al fianco della donna ingiustamente accusata di blasfemia nel 2009 e condannata a morte, seguendo passo passo gli otto anni del suo calvario, anche con un contatore dei giorni e raccogliendo oltre 31mila firme per sostenere la sua causa.


3.421 sono i giorni in cui Asia Bibi è rimasta in carcere con la falsa accusa di blasfemia,
fino alla sentenza della Corte Suprema del 31 ottobre 2018. «Mi sono a lungo chiesta perché Dio m’imponeva tali sofferenze. Mi sono battuta a lungo contro l’oscurità della mia cella»

«So di essere divenuta mio malgrado prigioniera del fanatismo. Spesso, la gente si chiede perché e come sono divenuta così celebre nel mondo intero. Hanno dimenticato che è grazie al Papa», scrive Asia Bibi con riconoscenza nel capitoletto intitolato “I papi”, dedicato al ruolo di Benedetto XVI e di Francesco, vicini alla cristiana perseguitata divenuta il simbolo dell’emarginazione dei seguaci di Gesù in Pakistan e nel mondo islamico. «Il giorno in cui ho appreso che papa Benedetto XVI sapeva chi ero, tremavo di freddo sotto una sottile coperta consunta».

Ma da allora, per Asia, si è acceso un fuoco interiore: «Il Santo Padre che pensava e pregava per me, mi chiedevo se meritassi tanti onori e attenzioni. E lo penso ancor oggi poiché papa Francesco si è anch’egli commosso per la mia situazione. Sono solo una figlia di campagna, e nel mondo, ci sono così tante persone che soffrono.


La minoranza più numerosa è discriminata e perseguitata sono i cristiani in Pakistan, circa il 2 per cento della popolazione.

700 sono le ragazze cristiane rapite, convertite a forza e costrette, ogni anno, a sposare uomini musulmani soprattutto nelle zone rurali sono stati i cristiani arrestati per blasfemia dall’entrata in vigore della legge, nel 1987

16 sono state le persone finite in carcere per blasfemia nel 2018: nove sono cristiani, quattro ahmadi, due islamici e una persona di fede induista

42 sono stati i cristiani rilasciati il 29 gennaio dopo 4 anni di prigione per aver partecipato alle proteste dopo un attentato alle chiese di Lahore

Per la prima volta, quella sera, mi sono addormentata col cuore al caldo». Fra i segni di questo legame, un rosario offerto da Francesco. Perseguitata e condannata a morte per aver bevuto un bicchier d’acqua al fianco di contadine musulmane durante la raccolta della frutta, Asia Bibi offre nel libro una splendida lezione di resistenza spirituale, rischiarata dalle semplici preghiere rivolte quotidianamente alla Vergine e al Cielo. Uno scudo per farsi roccia sotto la sferza di percosse, umiliazioni e insulti, nell’oscurità della prigione e dell’isolamento: «No, non sono mai stata blasfema, ma i fanatici di Allah si sono serviti di me per seminare terrore nel mio Paese. Come immaginare che sarei divenuta, a 54 anni, il simbolo mondiale della lotta contro l’estremismo religioso, io che sono solo una piccola contadina?», si chiede con umiltà, riflettendo in particolare su un preciso istante: «Di fronte al mullah del mio villaggio che mi ha ufficialmente denunciato, ho semplicemente rifiutato di rinnegare la mia fede in cambio di una liberazione immediata. Mi sono a lungo chiesta perché Dio m’imponeva tali sofferenze. Mi sono battuta a lungo contro l’oscurità della mia cella conducendo la battaglia della mia vita senza esservi preparata».

L’esilio in Canada, in un luogo tenuto segreto, resta una prova, ma Asia vi ha ritrovato le gioie familiari, sta apprendendo l’inglese e ha scoperto pure la magia della neve, mai vista prima. Intanto, la figlia di Asia, temprata nell’adolescenza da una così dura battaglia per la giustizia, studia per diventare avvocato, con grande orgoglio della madre analfabeta. La riconoscenza della famiglia va a Salman Taseer, ex governatore del Punjab, e al cattolico Shahbaz Batti, ex ministro pachistano delle Minoranze, che hanno cercato di difendere Asia, pagando entrambi con la vita le rappresaglie degli estremisti. Un capitolo è dedicato alla sorte dei cristiani pachistani che in patria «non sono considerati esseri rispettabili», ricorda Asia, il cui destino, come un piccolo seme, ha nondimeno potuto già dare tanti frutti. «Non bisogna mai smettere di credere e sperare. Vorrei tanto che finalmente essere cristiani in Pakistan non fosse più un problema e che fossimo trattati come i musulmani».

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