giovedì 2 maggio 2024
Lo psicologo Mauro Grimoldi: inutile stupirsi di fronte ai crimini dei teenager. Meglio valutare caso per caso e rivedere i percorsi educativi allo scopo di rendere possibile un recupero coerente
Cosa ci insegnano i reati degli adolescenti?
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Il male è un concetto filosofico estremamente complesso da analizzare e definire. Che cosa notiamo, però, quando questo termine viene accostato a tematiche psico-pedagogiche? Com’è possibile che lo si ritrovi in argomenti e fatti collegati al mondo dell’adolescenza? A questa domanda prova a rispondere un utilissimo saggio, scritto da Mauro Grimoldi, psicologo giuridico e consulente per il Tribunale di Milano, dal titolo Dieci lezioni sul male. I crimini degli adolescenti, uscito, in questi giorni, per l’editore Cortina.

Scrive Grimoldi: “I minori autori di reato sono così, ti rimangono appiccicati alla pelle, profondamente radicati nella mente, ci si ripensa, inevitabilmente si cercano soluzioni praticabili e coerenti con quello che prevede la legge italiana”. Con questa profonda considerazione ci avviciniamo a un libro estremamente delicato, difficile, che ci mette davanti una serie di casi, in cui le relazioni familiari e amicali vanno in crisi, divenendo il motore di comportamenti antisociali, innescati da disagi silenziosi e invisibili. “Questi ragazzi – scrive l’autore – sono comunque capaci di insegnare qualcosa”. Possibile? Possiamo davvero apprendere da reati spesso terribili? Evidentemente sì, possiamo e dobbiamo farlo mettendoci non nell’ottica del giudizio, della pena, della condanna, ma in quella che più ci è familiare, come la chiave educativa, che prende le mosse dallo stupore dinanzi alle loro vicende.

I primi tre capitoli del libro riguardano aspetti generali della criminalità minorile; il primo presenta la dimensione della responsabilità, denunciando la condizione di incredibile estraneità del vissuto di molti adolescenti rispetto a quanto avvenuto, o meglio dinanzi a ciò che hanno fatto nella realtà. Nel secondo capitolo, invece, grazie ad alcuni casi guida, si riflette capillarmente sul senso del male. Il terzo, poi, dal titolo provocatorio ed estremamente smagato, Odia il prossimo tuo come te stesso, ruota la narrazione del gruppo, dello sguardo dell’altro, del diverso, per esempio dell’omosessuale. In questo caso, come spesso accade, lo sguardo altrui è il canale privilegiato attraverso cui si manifesta l’odio per l’éteros, per l’altro, in quanto portatore di una diversità. E dove si radica il male e l’odio, in queste situazioni patologiche, se non in quella discrepanza in cui l’eterogeneità è troppo distante e incomprensibile per il nostro sé? Da questo punto in poi, che peraltro si coglie perfettamente, nella sua drammaticità, in particolare nel passaggio in cui un adolescente guarda il profilo Instagram del suo amico omosessuale e scrive: “Guardavo quelle foto e mi schifavo, immaginandolo intento nella sua vita sessuale. Mi sembrava di vedere tutti gli omosessuali in modo diverso da prima, come stupratori pericolosi. Mi ripetevo: è il momento di stare lontano da questa gente schifosa”.

Quali riflessioni suggerisce questa tremenda considerazione? Innanzitutto, come precisa Grimoldi, viene fuori un ribaltamento del dispositivo etico della colpa e della punizione. Chi agisce in maniera violenta, in alcuni casi, crede di avere ottime ragioni per agire così. L’atto violento, come si legge anche nei successivi capitoli di queste testimonianze di adolescenti, avviene in virtù del meccanismo psicologico della proiezione, grazie alla quale diventa plausibile intravedere la presenza di una presunta “colpa” dell’altro. L’agire criminale di un minorenne ci mette davanti a una dimensione paranoica ubiqua, dove si va dal comune furto, allo spaccio, ai reati intra-familiari, ai reati sessuali di gruppo fino all’omicidio minorile e all’aggressione di un genitore.

La tesi centrale di tutto il saggio è chiara, forte e incisiva: i ragazzi autori di reato vanno recuperati. Il cerchio va interrotto. È urgente, in queste situazioni, al di là della pena, ridare centralità ai ruoli educativi per interrompere l’eterno ritorno dell’inconscio, nella sana speranza di ristabilire il patto sociale fra il ragazzo criminale e la società disumana, che si è costruito (e in alcuni casi, autocostruito) intorno.

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