venerdì 19 aprile 2024
In ognuno dei paesi in cui opera l'azienda il compenso minimo dei lavoratori dovrà essere sufficiente ad assicurare servizi essenziali e anche risparmio a una famiglia di quattro persone
Un lavoratore di Michelin: i dipendenti dell'azienda sono 132.500 in 26 Paesi

Un lavoratore di Michelin: i dipendenti dell'azienda sono 132.500 in 26 Paesi - Michelin

COMMENTA E CONDIVIDI

Dei dipendenti che guadagnano meglio, lavorano meglio e rendono di più, confortando alla fine gli interessi aziendali. Il ragionamento, pur contenuto da tanti manuali, non è ancora usuale nelle stanze dei libri paga. Per questo, ieri, ha destato clamore l’annuncio di una multinazionale del calibro della francese Michelin di voler accordare a tutti i propri 132mila dipendenti nel mondo uno stipendio calcato sul principio del «salario decente», definito in sede Onu. A tutti, indipendentemente dalle latitudini e dai continenti di ogni sede, è stata promessa pure una «base di protezione sociale universale».

Di certo, di che suscitare pure qualche invidia, in tempi in cui i sindacati in ogni contrada denunciano progressioni salariali talora al palo, o comunque spesso non al passo dell’inflazione.

Secondo il Patto mondiale delle Nazioni Unite, un salario decente è quello che permette a una famiglia di 4 persone (genitori e 2 figli) di «sopperire ai bisogni essenziali», come cibo, salute, trasporti e istruzione, ma anche di mettere da parte qualche risparmio e concedersi altri beni di consumo.

In Francia, per legge, esiste già un salario minimo, attualmente d’un ammontare di 21.203 euro lordi a stagione, rivalorizzato regolarmente per garantire che non vi siano perdite di potere d’acquisto legate in particolare all’inflazione. Ma adesso, alla Michelin, giudicano che non basta più ai dipendenti per condurre una vita decente.

L’amministratore delegato del gruppo, Florent Menegaux, ha spiegato che ciò in fondo è «un impegno logico», speculare rispetto a quello dei dipendenti che «consacrano del tempo a svilupparsi e a sviluppare l’azienda».

Di certo, per Michelin, si tratta pure di una scelta coerente con un’etica imprenditoriale che i fondatori, i fratelli André e Édouard, vollero in ascolto della Dottrina sociale della Chiesa. In nome della stessa etica, il gigante non ha mai spostato la propria sede sociale dalla culla storica a Clermont-Ferrand, la città natale del grande filosofo Blaise Pascal, in quell’Alvernia montagnosa che è geograficamente il cuore roccioso della Francia, rappresentando pure ancor oggi una delle contrade transalpine più segnate dalla fede.

Concretamente, in linea con i suggerimenti dell’Onu sul cosiddetto «living wage» (o salario di sussistenza), Michelin intende allineare gli stipendi in funzione delle esigenze vitali dei lavoratori, sganciandoli dunque almeno in parte dal solo criterio classico della contrattazione sindacale. Ciò implicherà, di fatto, pure un calcolo differenziato in funzione dell’effettivo potere d’acquisto in ogni sede geografica. A parità di mansioni, sarà ad esempio più pesante la busta paga di chi lavora in una capitale onerosa come Parigi, rispetto a chi opera in capoluoghi ed aree più periferiche, o in Paesi del mondo con un costo della vita inferiore.

Florent Menegaux, amministratore delegato di Michelin

Florent Menegaux, amministratore delegato di Michelin - Michelin

Secondo Florence Viala, responsabile delle “remunerazioni” del gruppo, il «salario decente» effettivamente calcolato sarà compreso in media fra 1,5 e 3 volte il salario minimo legale, laddove esiste. A Parigi, i salari così rivisti partiranno da una base minima «decente» di 39.638 euro lordi, mentre in Cina saranno dell’ordine di 69.312 yuan (circa 9mila euro), ovvero più del doppio del salario minimo nazionale che serve da riferimento, attorno ai 29mila yuan. Anche i dipendenti nelle sedi brasiliane potranno appurare un forte “balzo”, dato che lì si partirà da una base di 37.347 real (6.653 euro), contro la soglia minima attuale di riferimento di 16.944 real.

Saranno generalmente più generose di quelle in vigore pure le condizioni basilari della «protezione sociale universale» accordate da Michelin, che prevederanno ad esempio anche un congedo di paternità di 4 settimane senza perdita di salario, accanto a quello di maternità che durerà almeno 14 settimane. Il gruppo si mostrerà solidale anche con la famiglia di un proprio dipendente deceduto, alla quale sarà accordato l’equivalente di almeno un anno di retribuzione, oltre a un sussidio per l’istruzione dei figli. La strategia è stata decisa dopo aver consultato l’Ong Fairwage, che milita per l’estensione del «salario decente». Ma Michelin considera la scelta un investimento: «Vogliamo che le persone s’impegnino pienamente in ciò che fanno», ha chiarito l’ad Menegaux. Fra le multinazionali citate più spesso come impegnate in questa direzione, figurano ad esempio Unilever, L’Oréal, Microsoft o Hitachi.

La Cfdt, primo sindacato francese, ha reagito positivamente, ma sostenendo che sussistono nel gruppo pure disparità controverse di trattamento, ad esempio sul fronte dei bonus di produttività, proporzionalmente molto più generosi per i quadri.

In campo industriale, invece, la notizia giunge in Francia mentre divampano ancora le polemiche sulla remunerazione record dell’ad di Stellantis (gruppo automobilistico nato dalla fusione fra Fiat-Chrysler e Psa Peugeot-Citroën, con sede legale in Olanda), Carlos Tavares, a cui sono andati 36,5 milioni nel 2023, corrispondenti a 1.586 anni di stipendio di un operaio in catena di montaggio francese con contratto interinale.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI