Per le mamme il gender gap inizia dal lavoro e prosegue sul fronte della ricchezza finanziaria e degli investimenti - Cristian Gennari
Il prezzo da pagare per essere madre in Italia è più elevato che altrove, non solo in termini di spesa ma anche di impatto sulla vita lavorativa ed economica. In media per un figlio si spendono 640 euro al mese, vale a dire 138mila euro fino al raggiungimento della maggiore età, il doppio rispetto alla media dei Paesi Ocse.
All’indomani della Festa della Mamma, una nuova indagine di Gimme5, soluzione digitale che permette di accantonare piccole somme attraverso smartphone e investirle in fondi comuni, mostra come inflazione, precarietà lavorativa e disequilibri nella ripartizione delle incombenze domestiche pesino come un macigno sulla ricchezza finanziaria femminile e sulla propensione delle donne all’investimento.
Diventare madri in Italia è un lusso che ci si può permettere sempre meno, come confermano gli ultimi dati Istat, Il nostro è l’ultimo Paese in Europa per tasso di fertilità, con 1,2 figli per donna e un totale di appena 379mila nuovi nati nel 2023, in calo del 34,2% rispetto al 2008. Se ai costi elevati della maternità si aggiunge l’assenza di un sistema adeguato di welfare aziendale e asili nido, appare chiaro come il prezzo della maternità per molte sia insostenibile. La cura della famiglia è la prima causa di abbandono dell’impiego per le italiane (52%) e il tasso di occupazione delle donne tra i 25 e i 49 anni passa dal 76,6% in assenza di figli al 55,5% in presenza di un figlio sotto i sei anni. Il quadro complessivo è allarmante: non solo le donne occupate in Italia sono 9,5 milioni, contro i 13 milioni degli uomini, ma il lavoro femminile appare in larga parte precario, part-time (per il 49% delle donne contro il 26,2% degli uomini) e poco remunerativo, con un gap retributivo medio del 5% su base oraria e del 43% su base annuale, pari a una differenza di 7.922 euro in termini di salario medio annuale rispetto ai lavoratori uomini. Un gap che produce importanti ripercussioni sulla ricchezza finanziaria femminile.
L’analisi della base clienti di Gimme5 che evidenzia come le donne restino in minoranza (16% degli utenti attivi), nonostante siano cresciute del 19% nell’ultimo anno, e come i loro salvadanai digitali siano mediamente più piccoli (-7%) rispetto a quelli dei clienti uomini. Quando si parla di obiettivi le donne dimostrano di avere le idee più chiare: il risparmio generico, svincolato dal raggiungimento di un obiettivo preciso, è scelto nel 7% in meno dei casi tra le donne rispetto agli uomini. Dall’analisi degli obiettivi impostati è possibile trarre informazioni utili: ad esempio, le clienti di Gimme5 risparmiano soprattutto per viaggiare (27%) e, rispetto agli uomini, sono più propense a fare economia per la casa (13% contro 9%). Per quanto riguarda l’orizzonte temporale, quello delle donne è inferiore del 20% rispetto a quello degli uomini. Rispetto alla propensione al rischio, invece, le donne si approcciano con cautela al mondo degli investimenti: solo il 9,4% delle clienti opta per l’investimento in azioni, contro il 15,7% degli uomini, mentre il 57,7% sceglie di investire nell’obbligazionario, contro il 42,4% degli uomini.
In linea generale, le clienti sono più inclini a porsi obiettivi ambiziosi e più determinate a raggiungerli (+5%) rispetto agli uomini, anche nel caso in cui dovesse servire più tempo. Si dimostrano però meno propense ad attivare automatismi per risparmiare con costanza (68% contro 71% degli uomini).