Mario Draghi arriva alla conferenza stampa dopo la riunione del direttivo della Bce
Prima di lasciare la guida della Banca centrale europea, Mario Draghi ha ottenuto dal Consiglio direttivo il via libera a un ultimo pacchetto di stimoli all’economia. I banchieri centrali della zona euro hanno deciso di abbassare ancora, dal -0,4% al -0,5%, i tassi che le banche incassano sui soldi che lasciano in deposito presso la Bce. Questo taglio rende ancora meno conveniente per le banche tenere la liquidità “ferma” e quindi dovrebbe favorire un ulteriore alleggerimento delle condizioni per fare prestiti a imprese e famiglie. Dato che quel tasso negativo rischia di essere eccessivamente penalizzante per le banche, la Bce ha accontentato le richieste arrivate da diversi istituti di credito – compresa, dall’Italia, la loro associazione Abi – e ha quindi introdotto un sistema di remunerazione delle riserve a due “tier”: una parte dell’eccesso di liquidità delle banche sarà esclusa dai tassi negativi.
Draghi è riuscito a fare approvare la riapertura degli acquisti del Quantitative easing, che erano stati interrotti lo scorso dicembre con ben 2.650 miliardi di euro di titoli pubblici e privati comprati in totale dalla Bce. Si riparte a novembre con un mini-QE, da 20 miliardi di euro di acquisti al mese, una cifra un po’ inferiore rispetto al previsto, ma davvero non si poteva fare di più: Draghi in conferenza stampa ha spiegato che su questo il Consiglio era diviso, con molti che chiedevano di aspettare, ma alla fine c’è stata comunque una maggioranza abbastanza ampia da evitare di dovere votare formalmente la misura. Gli acquisti del QE proseguiranno «fino a quando sarà necessario per rinforzare l’impatto accomodante delle nostre politiche» e finiranno «poco prima che inizieremo ad aumentare i tassi di riferimento».
Alla riunione sono state approvate anche due misure “tecniche”: si è confermata l’intenzione di reinvestire il denaro incassato dalle obbligazioni del QE e di modificare l’indicazione dei tassi per le prossime aste Tltro così da renderle ancora più orientate al credito.
Se la Bce si è potuta muovere è perché la situazione economica della zona euro è peggiorata: nelle previsioni di giugno si parlava di un Pil in crescita dell’1,2% per quest’anno e dell’1,4% il prossimo, in quelle di settembre la stima per il 2019 scende all’1,1% e per il 2020 all’1,4%. L’inflazione resta bassa, dovrebbe essere all’1,2% quest’anno e all’1% nel 2020. Per la Bce, che ha l’obiettivo di tenerla sotto ma vicina al 2%, c’è spazio per agire ancora.
Per effetto delle mosse della Bce, l'euro è scesso sotto 1,10 dollari e rendimenti dei titoli di Stato hanno accelerato la loro discesa: quelli dei Btp decennali sono scesi allo 0,75%, nuovo minimo storico, con uno spread di 140 punti sui Bund tedeschi.