Donald Trump alla Casa Bianca annuncia l'intesa raggiunta con la Cina (foto Ap)
In mezz’ora di conferenza stampa Donald Trump ha usato per quindici volte l’aggettivo tremendous (cioè “enorme”) per fare capire quanto sia importante l’accordo che Stati Uniti e Cina hanno trovato al termine della tredicesima sessione di trattative tra le delegazioni dei due Paesi. Il presidente americano è sempre generoso quando si tratta di presentare i risultati positivi raggiunti dalla sua amministrazione.
Le prospettive di un'intesa
Trump ha spiegato che siamo nella “Fase 1” di un accordo commerciale. La trattativa ha portato a un accordo che riguarda l’agricoltura, la tutela della proprietà intellettuale, le valute, i servizi finanziari. Mancano ancora molti dettagli, ci vorrà circa un mese per mettere su carta ciò che è stato concordato.
L’obiettivo, ha detto il presidente americano, è firmare un’intesa con Xi Jinping al vertice dell’Apec (la Cooperazione economica asiatico-pacifica) che si terrà a Santiago del Cile a metà novembre. Nel frattempo ci sono gesti che mostrano un concreto di riavvicinamento tra Washington e Pechino.
Gli Stati Uniti hanno sospeso l’aumento dei dazi su merci cinesi che valgono 250 miliardi di dollari di importazioni annue in America. Da martedì prossimo la tassa su questi prodotti sarebbe dovuta aumentare dal 25 al 30%, per un “costo” di 12,5 miliardi di dollari per gli importatori americani, ma il rincaro è rimandato. In cambio, la Cina ha accettato di portare le sue importazioni di prodotti agricoli americani a una cifra annua compresa tra i 40 e i 50 miliardi di dollari nel giro di due anni.
Per Trump contano soprattutto gli agricoltori
Nel 2018 la Cina ha comprato prodotti agricoli cinesi per soli 9 miliardi di dollari, se l’impegno annunciato da Trump sarà confermato le importazioni saranno almeno quadruplicate. Per il presidente americano, che ha bisogno dell’appoggio degli agricoltori in vista delle presidenziali del 2020, questo è il risultato più significativo. «Suggerisco agli agricoltori di andare a comprare immediatamente più terreni e trattori più grandi. Saranno disponibili da John Deere e altri grandi concessionari» ha detto con tono serio il presidente.
Già nelle ultime settimane, per preparare il terreno all’intesa, la Cina ha aumentato le importazioni dagli Stati Uniti, acquistando 20 milioni tonnellate di soia, prodotto che vale da solo circa la metà dell’export agricolo americano in Cina.
Lo scetticismo dei cinesi
Liu He, tra i pochi alti funzionari del Partito comunista cinese ad avere studiato ad Harvard, durante questi quindici mesi di guerra commerciale ha subìto molte umiliazioni: diverse volte Trump ha annunciato imminenti accordi che poi ha stracciato. L’esperienza ha insegnato al vicepremier cinese a mantenersi molto cauto sui progressi della trattativa. «Siamo contenti, continueremo a fare sforzi» ha commentato.
Xinhua, l’agenzia di Stato cinese, ha aggiunto che i due Paesi «sono d’accordo sulla necessità di fare sforzi verso un accordo finale». Liu ha anche consegnato a Trump una lettera firmata da Xi: il presidente cinese ricorda che per entrambe le parti «è importante tenere conto delle reciproche preoccupazioni» e aggiunge che un buon rapporto tra Cina e Stati Uniti «serve gli interessi dei due Paesi e del mondo».
I tanti punti ancora da risolvere
La guerra commerciale tra le due principali economie del pianeta è in effetti una delle più grandi minacce alla crescita economica globale. Wall Street ha già festeggiato i toni distensivi venerdì, con il possibile accordo annunciato quando in Europa era già notte e le Borse erano chiuse. Una pace definitiva tra Pechino e Washington non è comunque vicina. Trump non ha sospeso ad esempio i dazi sugli ultimi 160 miliardi di dollari di merci cinesi che ancora non aveva colpito. Dovevano partire a settembre, sono stati rinviati a dicembre per evitare problemi con lo shopping natalizio. Inoltre l’accordo trovato negli ultimi giorni non contempla Huawei, il gigante tecnologico cinese il cui futuro è a rischio a causa dello scontro tra Usa e Cina. Come ripetono da Pechino, c’è ancora molta strada da fare.