Conferenza Episcopale ItalianaCONSIGLIO PERMANENTE
Roma, 26 - 28 gennaio 2015
PROLUSIONE
DEL CARDINALE PRESIDENTE
Cari Confratelli
1. Il viaggio apostolico di Papa Francesco
Portiamo l’eco del mistero natalizio appena celebrato, e a Cristo – Dio con noi – chiediamo di farci Pastori secondo il suo cuore. La poesia che, nonostante tutto, avvolge il Natale del Signore non è mai vuota, poiché Dio percorre vie misteriose per parlare all’uomo di ogni tempo. Così è avvenuto durante la Santa Messa a Tacloban nelle Filippine, dove il Santo Padre Francesco, con le parole della fede e dell’amore, ha parlato alla popolazione colpita dal micidiale tifone: “Molti di voi hanno perso tutto. Io non so cosa dirvi. (…) Molti di voi hanno perso parte della famiglia. Solamente rimango in silenzio, vi accompagno con il cuore in silenzio (…) Guardiamo Cristo: Lui è il Signore, e Lui ci comprende perché è passato per tutte le prove che ci hanno colpito (…). Perdonatemi se non ho altre parole. Ma siate sicuri che Gesù non delude. Siate sicuri che l’amore e la tenerezza di nostra Madre non delude. E attaccati a lei come figli, e con la forza che ci dà Gesù nostro fratello maggiore, andiamo avanti. E come fratelli camminiamo” (Papa Francesco, Omelia Tacloban, 17.1.2015). Sono parole che nascono dal cuore di colui al quale Cristo ha consegnato il mandato di Pietro – “Pasci le mie pecorelle” – donandogli il carisma della paternità universale. In un certo senso, tali parole sono la continuazione di quanto ha scritto nella sua Enciclica a proposito della fede: “La fede non è luce che dissipa tutte le nostre tenebre, ma lampada che guida nella notte i nostri passi, e questo basta per il cammino” (Papa Francesco, Lumen fidei, 57).
All’inizio del nuovo anno civile il nostro filiale saluto va dunque al Santo Padre, al quale esprimiamo la più viva gratitudine per l’infaticabile impegno, e formuliamo l’augurio affettuoso di forza e luce per il suo ministero, rinnovando la vicinanza convinta e operosa alla sua persona e al suo magistero. Lo vogliamo anche ringraziare per aver onorato la nostra Conferenza con il dono di due nuovi Cardinali: l’Arcivescovo di Ancona-Osimo Mons. Edoardo Menichelli e l’Arcivescovo di Agrigento Mons. Francesco Montenegro, membro del Consiglio Permanente in qualità di Presidente della Commissione Episcopale per le migrazioni. A loro vanno le felicitazioni più vive dell’Episcopato italiano e di questo Consiglio.
Una tabella di marcia intensa
2. Il Sinodo Ordinario
Nei prossimi mesi ci attende una tabella di marcia intensa che chiede l’impegno generoso nostro, del nostro Clero e delle comunità. Innanzitutto il Sinodo Ordinario che verrà celebrato nel prossimo novembre: chiede un importante lavoro di preparazione da parte di tutti sul filo dei Lineamenta che sono stati inviati dalla Segreteria Generale del Sinodo. A giugno sarà inoltre pubblicato l’
Instrumentum laboris. Dopo la celebrazione del Sinodo Straordinario – momento di grazia e di dialogo serio, umile e aperto – continua, pertanto, la comune riflessione su “La vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo”. A questo riguardo, nell’incontro con le famiglie a Manila, il Papa ha fatto affermazioni illuminanti: “Ogni minaccia alla famiglia è una minaccia alla società stessa (…) custodite le vostre famiglie! Proteggete le vostre famiglie! Vedete in loro il più grande tesoro della vostra Nazione” (Papa Francesco,
Discorso alle famiglie, Manila, 16.1.2015). Con chiarezza, il Sommo Pontefice ha inquadrato tali minacce nell’orizzonte di un tentativo arrogante e continuo di colonizzazione culturale o, come dice il Papa, “ideologica”: “Stiamo attenti alle nuove colonizzazioni ideologiche (…) che cercano di distruggere la famiglia (…) Non perdiamo la libertà della missione che Dio ci dà, la missione della famiglia (…) come famiglie dobbiamo essere molto, molto sagaci, molto abili, molto forti, per dire ‘no’ a qualsiasi tentativo di colonizzazione della famiglia, e chiedere a san Giuseppe (…) che ci mandi l’ispirazione di sapere quando possiamo dire ‘sì’ e quando dobbiamo dire ‘no’ ” (id). Sono molto più che esortazioni: sono indicazioni di rotta e di metodo per la missione del popolo di Dio nel mondo quando si tratta di salvaguardare il bene dell’umanità. Ma il Papa fa un passo ulteriore, che colpisce ancor più pensando all’area geografica in cui parla: “La famiglia è anche minacciata dai crescenti tentativi di alcuni per ridefinire la stessa istituzione del matrimonio mediante il relativismo, la cultura dell’effimero, una mancanza di apertura alla vita” (id).
3. L’Assemblea di maggio 2015
Un altro appuntamento che ci attende è l’Assemblea Generale di maggio. Essa – come ci siamo detti ad Assisi – sarà un momento importante di collegiale verifica sulla recezione dell’Esortazione apostolica Evangelii gaudium. A distanza di un anno e mezzo (novembre 2013), è doveroso interrogarci, insieme al nostro clero e alle comunità cristiane, su quanto ci siamo lasciati contagiare dalle indicazioni spirituali, pastorali e missionarie che il Pastore universale ha dato alla Chiesa intera. Con l’ausilio di una griglia di lavoro, che prenderemo in esame in questi giorni, e nella luce dello Spirito, ci metteremo gioiosamente all’opera in questa azione di verifica che certamente andrà ad accrescere il senso di comunione ecclesiale, nonché il cammino di conversione e di evangelizzazione a cui tutti siamo chiamati.
4. Il Convegno Ecclesiale di Firenze
Il quinto Convegno Ecclesiale Nazionale è ormai alle porte: avrà luogo a Firenze dal 9 al 13 novembre p.v., e in quella sede la Chiesa italiana affronterà la grande questione che abbiamo così formulato: “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo”. Il titolo forse potrebbe apparire un po’ astratto, ma in realtà proprio la sfida antropologica è risuonata dai cinque continenti nell’ultimo Sinodo: in qualunque società e cultura lo tsunami occidentale vuole sfondare le porte di popoli e nazioni. Come ho ricordato, il Santo Padre non ha esitato a parlare di “colonizzazione ideologica” dalla quale guardarsi e alla quale opporsi (cfr Papa Francesco,
Conferenza stampa in volo dalle Filippine, 19.1.2015). Al Parlamento europeo ricordava che, in origine, al centro del progetto di unificazione “vi era la fiducia nell’uomo, non tanto in quanto cittadino, né in quanto soggetto economico, ma nell’uomo in quanto persona dotata di una dignità trascendente” (Papa Francesco,
Discorso al Parlamento Europeo, 25.11.2014). Di quale uomo si sta oggi parlando? Quello semplicemente economico o quello segnato da dignità e trascendenza? È soggetto oppure oggetto che viene verbalmente enfatizzato, ma che di fatto viene usato? Dov’è finito quel grande disegno di cui sentiamo la bellezza e la necessità, ma di cui i popoli avvertono il peso? E ancora, qual è lo scopo della colonizzazione in atto? Forse capovolgere l’alfabeto dell’umano e ridefinire le basi della persona e della società? La persona, anziché in relazione con gli altri, è allora concepita come individuo sciolto da legami etici e sociali, perché l’unica cosa che conta diventa la libertà individuale assoluta. Si dice famiglia, ma si pensa a qualunque nucleo affettivo a prescindere dal matrimonio – che ne riconosce in modo impegnativo la pubblica valenza – e dai due generi. Si parla dei figli come se fossero un diritto degli adulti e un oggetto da produrre in laboratorio, anziché un dono da accogliere. In Europa si vuole far dichiarare l’aborto come un diritto fondamentale così da impedire l’obiezione di coscienza, e si spinge perché sia riconosciuto il cosiddetto aborto “post partum”! Si afferma la qualità della vita, ma la si concepisce come efficienza e produzione, anziché come rete di relazioni di giustizia e di solidarietà. Si discute sulla malattia e sulla morte come qualcosa che deve essere a nostra disposizione, e non invece nella prospettiva per cui la salute di ogni cittadino interessa il bene comune. Insomma, si ricerca la garanzia dei diritti individuali, ma si dimentica la serie dei corrispettivi doveri sociali, senza dei quali una realtà comunitaria non sta in piedi. Per questo, se la famiglia è il baricentro esistenziale da preservare, l’impegno nella vita sociale è aspetto irrinunciabile della presenza dei cattolici nel nostro Paese. Il Convegno di Firenze sarà – dentro ad una visione fondativa – un laboratorio di riflessione, di esperienze, di racconto tra comunità, di messa in comune di prospettive, speranze, impegni.
5. L’Assemblea di Assisi
Non possiamo qui non ricordare anche la recente Assemblea di Assisi dove abbiamo parlato dei nostri sacerdoti, della loro vita e della formazione permanente. Come attorno al tavolo di casa, abbiamo aperto il nostro cuore e confermato la stima grata per i nostri primi amici e collaboratori; sono emerse domande circa i modi migliori per sostenerli e incoraggiarli nell’essere presbiterio attorno al Vescovo e nel loro generoso apostolato. Dobbiamo trovare i modi per un migliore coinvolgimento, al fine di poter formulare – nei tempi più brevi – dei processi virtuosi da percorrere tra noi e noi con loro. Il puntuale intervento introduttivo del Papa, nell’Assemblea del Maggio scorso, resta un punto di riferimento anche per questo nostro intento e dovere.
6. Oltre l’Italia: terrorismo e intolleranza
Dobbiamo ora allargare brevemente lo sguardo oltre l’Italia, poiché quanto accade sul fronte del terrorismo e dell’intolleranza ci interpella tutti con grande serietà e con qualche preoccupazione. Non è una preoccupazione cupa e senza speranza, né, tanto meno, di carattere personale, ma è la doverosa presa d’atto di quanto sta accadendo lontano o vicino a noi, e va a toccare in modo barbaro persone e Nazioni, con l’evidente intento di seminare insicurezza, terrore e soggezione psicologica e culturale. Parliamo del fondamentalismo islamico, nelle forme di sempre e nelle recenti raccapriccianti aberrazioni. C’è, infatti, un elemento inedito di tale barbarie: è la violenza esibita, la crudeltà sfacciata, il parossismo angosciato. Sì angosciato, perché tali raffinate manifestazioni di crudeltà, se da una parte vogliono ostentare spregio e sicurezza per spargere terrore, dall’altra esprimono paura e angoscia. È il panico che nasce dalla consapevolezza di essere perdenti di fronte all’incalzare della storia. Non dico che il cammino della storia porti sempre acqua limpida alla sete dell’umanità, ma esso non si può fermare. Mi permetto di riprendere una considerazione espressa tempo fa: di fronte al fenomeno dell’autoproclamato Stato Islamico e al numero di coloro che lasciano l’Europa per sposare il fanatismo omicida, l’Occidente dovrebbe fare un serio esame di coscienza e chiedersi il perché di questo arruolamento violento e suicida. Perché? Una ragione è che un certo islamismo fondamentalista riempie il vuoto nichilista dell’Occidente. L’anima di un uomo, come di un popolo e di uno Stato, non si può riempiere di dubbi e di cose materiali: queste sono necessarie, ma non danno senso alla vita. Il senso si trova su un piano diverso, qualitativo. Il mondo occidentale ha svuotato la coscienza collettiva di valori spirituali e morali soffocandola di cose, ma non di bene, di verità e di bellezza. È triste pensare che il bagaglio turpe e brutale del fondamentalismo possa incendiare non pochi animi, possa scuoterli dal torpore e dalla noia di una società sempre più liquida, fino a uccidere e a perdere la propria umanità.
Nessuno di noi pensa che l’Occidente sia esente da colpe vecchie e nuove, ma neppure si può negare che la cultura dei diritti fondamentali – sempre integrata a quella dei doveri – sia una conquista dell’umanità. Il Cristianesimo non può essere identificato con l’Occidente: il Vangelo è storico e metastorico, si incarna nelle culture, ma non coincide con nessuna cultura. Però è innegabile – anche se l’Europa l’ha negato per ideologia – che il lievito del Vangelo sta alla radice dell’umanesimo plenario, che ha alla base la dignità sacra di ogni uomo fatto ad immagine di Dio, Amore e Comunione. Per questa ragione non si può mai uccidere in nome di Dio: è una bestemmia contro l’uomo e contro il Creatore. Quanto è accaduto recentemente a Parigi ha suscitato giustamente l’indignazione del mondo: abbiamo pregato per le vittime e per la Francia. Abbiamo visto con compiacimento la grande marcia di protesta e di affermazione del diritto di espressione. Abbiamo visto uniti in prima fila molti capi di Stato e personalità significative. Ed abbiamo gioito. Però non abbiamo potuto non pensare anche alle migliaia di fratelli e sorelle perseguitati, straziati e uccisi perché cristiani o per motivi etnici. Abbiamo pensato che la libertà religiosa non è garantita nel 60% del pianeta e che, nelle minoranze, sono i cristiani quelli maggiormente perseguitati: “Ne muore uno ogni cinque minuti” (
Rapporto 2014 sulla libertà religiosa di “Aiuto alla Chiesa che soffre”, Fondazione di diritto pontificio). Avremmo voluto allora che anche la protesta per questo continuo genocidio, anche l’affermazione del diritto inalienabile alla libertà religiosa, fossero stati pubblicamente proclamati dal mondo lì rappresentato, specialmente dall’Occidente che si fa paladino dei diritti umani.
Anche a questo proposito, il Santo Padre ci ha offerto una importantissima chiave di lettura: “Abbiamo l’obbligo di dire apertamente (…) ma senza offendere. (…) non si può reagire violentemente”, ma “non si può provocare, non si può insultare la fede degli altri, non si può prendere in giro la fede (…). Ogni religione ha dignità, ogni religione che rispetti la vita umana, la persona umana. E io non posso prenderla in giro. E questo è un limite. (…) nella libertà di espressione ci sono limiti” (Papa Francesco, Conferenza stampa in volo verso Manila, 15.1.2015). In sostanza, sì alla libertà di espressione, no alla libertà di offendere: è un passo avanti per superare la dittatura del pensiero unico!
7. La colonizzazione ideologica
Nel suo viaggio apostolico il Santo Padre ha spiegato in modo incisivo la sua denuncia della “colonizzazione ideologica”. Questa si ha quando gli imperi colonizzatori impongono delle condizioni cercando di far perdere ai popoli la loro identità (cfr Papa Francesco, Conferenza stampa in volo dalle Filippine,19.1.2015). Ogni colonizzazione ideologica si serve dei bisogni di un popolo per imporre, uniformare e sfruttare. Il Papa fa anche un esempio concreto, di grande interesse pure per noi oggi. Racconta che nel 1995, nella sua Diocesi, è stato concesso un prestito per costruire delle scuole per i poveri, ma a una condizione: “che nelle scuole ci fosse un libro per i bambini di un certo grado di scuola. Era un libro di scuola, preparato bene didatticamente, dove si insegnava la teoria del gender. (…) Questa è la colonizzazione ideologica – spiega il Santo Padre –: entrano in un popolo con un’idea che non ha niente a che fare col popolo; con gruppi del popolo sì, ma non col popolo, e colonizzano il popolo con un’idea che cambia o vuole cambiare una mentalità o una struttura. (…) Prendono il bisogno di un popolo o l’opportunità di entrare e rafforzarsi per mezzo dei bambini” (id). Non è quanto, in un certo modo, sta accadendo anche da noi?
I libri dell’Istituto A.T. Beck, dal titolo accattivante “Educare alla diversità a scuola” e ispirati alla teoria del gender, sono veramente scomparsi dalle scuole italiane? Educare al rispetto di tutti è doveroso, e la scuola lo ha sempre fatto grazie al buon senso e alla retta coscienza dei docenti, ma qui siamo di fronte a un’altra cosa: si vuole colonizzare le menti dei bambini e dei ragazzi con una visione antropologica distorta e senza aver prima chiesto e ottenuto l’esplicita autorizzazione dei genitori. Non è inutile ricordare che – anche se la maggior parte dei genitori fosse d’accordo – chi non lo è ha il diritto di astenere i propri figli da quelle “lezioni” senza incorrere in nessuna forma, né esplicita né subdola, di ritorsione, come sta invece accadendo in qualche Stato vicino a noi. L’educazione della gioventù è talmente delicata e preziosa che non ammette ricatti o baratti di nessun tipo e in nessuna sede. Noi Vescovi su questo saremo sempre in prima linea a qualunque costo, così come sul fronte della giustizia, dei poveri e dello stato sociale, che portiamo avanti grazie anche all’otto per mille. Così come sul fronte della famiglia e della vita umana, che il Papa ha riaffermato nel grandioso incontro delle famiglie a Manila: “Siate santuari della vita, proclamando la sacralità di ogni vita umana dal concepimento fino alla morte naturale” (Manila, 16.1.2015).
8. Il Paese
Il nostro sguardo ora si rivolge alla nostra amata Nazione. L’attende un passaggio decisivo, l’elezione del nuovo Capo dello Stato. Mentre al Presidente Giorgio Napolitano esprimiamo sincera gratitudine e il più cordiale augurio di bene, preghiamo il Signore della storia perché il Parlamento, nel rispetto dei dovuti passaggi, riesca, in tempi brevi, ad esprimere la persona che possa rappresentare con dignità riconosciuta e operosità provata il popolo e la Nazione.
La crisi economica perdura anche se, in sede europea, vi sono segnali giudicati positivi e promettenti. Condividiamo le speranze di tutti, ma noi vediamo che la lama del disagio continua a tormentare moltissime famiglie che non arrivano da tempo alla fine del mese; anziani che attendono le loro magre pensioni mangiando pane e solitudine; giovani che hanno paura per il loro futuro incerto, e che bussano – non di rado sfiduciati – alle porte del lavoro; adulti che il lavoro lo hanno perso e che hanno famiglia da mantenere e impegni da onorare. Su tutto si staglia l’urgenza che, più di tutte, s’impone: il lavoro e l’occupazione. Con rispetto e forte convinzione, consapevoli del nostro dovere di Pastori, chiediamo ai responsabili della cosa pubblica di pensare a questo prima di ogni altra cosa, che – pur necessaria o opportuna – è sentita dalla gente come lontana dai suoi problemi quotidiani.
Non basta richiamare ad uno stile di vita più essenziale: questo ormai si è imposto giocoforza da tempo a chi ha sempre di meno e non ha sfiorato chi, invece, è sempre più ricco. La forbice si allarga pericolosamente anche per la tenuta sociale. Tutti sappiamo che il nostro Paese ha fatto molta strada e si è acquistato un posto di rilievo e di rispetto nel concerto delle Nazioni: chi lavora all’estero o chi deve girare il mondo per lavoro, testimonia che l’intuizione, la competenza tecnologica, la disponibilità generosa dei nostri lavoratori sono riconosciute ovunque. Si dice che è il sistema Paese che deve salire all’altezza degli italiani. Soprattutto, per attirare investimenti produttivi che creino nuovo lavoro.
Non basta neppure rincorrere i debiti – più o meno voraginosi – vendendo i gioielli di casa frutto dell’intelligenza e della capacità dei nostri padri, perché, poi, si resta con niente in mano – né strutture né professionalità – in balia di chi guarda all’Italia come ad una preda succulenta e ambita da spolpare. Alla fine di queste operazioni d’azzardo, si resta con pochi pezzi in mano, pezzi che – scollati gli uni dagli altri – diventeranno sempre più deboli, pronti per essere azzannati al momento opportuno da quanti non hanno certamente a cuore il bene del nostro Paese. Non saranno le garanzie scritte e firmate ad assicurare il nostro patrimonio industriale e lavorativo: si possono cambiare e disattendere in ogni momento! L’Europa deve stare attenta perché – nello scenario mondiale dei mercati e dei poteri – ciò che rischia oggi l’Italia, domani toccherà a lei.
A volte sembra che il “discredito” sia usato come un grimaldello per tali operazioni: il discredito delle nostre capacità, della laboriosità e dell’onestà. Più si scredita – sembra si ragioni – più il prezzo diminuisce e l’affare conviene. Di questo meccanismo autolesionista noi siamo campioni, a volte anche con esempi di corruzione che sono indegni per i protagonisti accertati e fanno male all’immagine del Paese.
È vero che dobbiamo coniugare la cultura dei diritti con la cultura dei doveri. Ed è vero che la cultura del lavoro è mutata: bisogna prenderne atto realisticamente. I nostri giovani e meno giovani – quest’anno più di ottantamila sono andati a lavorare all’estero – lo sanno bene! Ma bisogna fare estrema attenzione perché tutti siano accompagnati e sostenuti in quello che è necessario per non perdere la dignità: sentirsi inutili, perché non si ha un lavoro, deprime e destabilizza i singoli e la società.
Se la politica ha determinanti responsabilità per facilitare lo sviluppo e la creazione di lavoro, entrare in politica, però, non è l’unica via per perseguire il bene comune. La prima via è per tutti: fare con onestà, sacrificio e competenza il proprio dovere di lavoratore e di cittadino. E ci sono anche altre strade, ad esempio investire i propri onesti capitali: i denari ci sono, e non pochi, ma gli investimenti sono scarsi. Non si tratta di fare degli oboli a nessuno, ma di mettere in gioco se stessi e qualcos’altro, avendo le doverose garanzie di serietà, correttezza e celerità dei pubblici poteri. Esiste l’onestà dei singoli e delle aziende, ma esiste altresì l’onestà dello Stato e della burocrazia, come di ogni altro legittimo potere, che non deve affermare se stesso, ma unicamente la giustizia.
Il Paese non deve cedere alla sfiducia. Il popolo degli onesti – che è un grande popolo – non deve lasciarsi demoralizzare. Mai! Neppure dai cattivi esempi di malaffare e di corruzione. A questo proposito, la Conferenza Episcopale della Calabria ha recentemente pubblicato una Nota Pastorale – “Testimoniare la verità del Vangelo” – sulla malavita organizzata: siamo grati e solidali con loro anche in questa sfida che continua ad annidarsi nel tessuto sociale del Paese. I fenomeni di corruzione sono da deprecare e, se accertati, sono da perseguire con rigore, ma non devono deprimere né suggestionare, come se i corrotti fossero i furbi e gli onesti fossero una massa di illusi. Alla disonestà dobbiamo reagire con una onestà più fiera, una professionalità più convinta, una laboriosità più generosa. È questo il modo più costruttivo per reagire al male: con un bene più grande.
9. Conclusione
Cari Confratelli, in chiusura desidero tornare all’Europa: se essa non è più il centro del mondo, tuttavia continua ad avere una missione universale. E questa consapevolezza dovrebbe renderla più fiduciosa e impegnata. Lo ha confermato il Santo Padre a Strasburgo: “È giunta l’ora di costruire insieme l’Europa che ruota non intorno all’economia, ma intorno alla sacralità della persona umana, dei valori inalienabili (…) È giunto il momento di abbandonare l’idea di un’Europa impaurita e piegata su se stessa per suscitare e promuovere l’Europa protagonista di scienza, di arte, di musica, di valori umani e anche di fede. L’Europa che contempla il cielo e persegue degli ideali; l’Europa che guarda e difende e tutela l’uomo; l’Europa che cammina sulla terra sicura e salda, prezioso punto di riferimento per tutta l’umanità” (Papa Francesco, Discorso al Parlamento europeo, 25.11.2015).
Così pure vogliamo rivolgere il pensiero ancora a tanti fratelli e sorelle che soffrono e muoiono perché sono cristiani: sono di tutte le condizioni ed età. Anche giovanissimi! Sembra, a volte, che la ragione si sia spenta! Siamo al loro fianco con la nostra preghiera, sia personale che nelle nostre diocesi, ma anche salendo evangelicamente sui tetti per testimoniare la gioia del Vangelo. Lasciamo che il sangue dei martiri arrivi fino a noi, da qualunque regione del pianeta parta; lasciamo che ci bagni, che irrori i nostri cuori, che riscaldi le nostre anime d’amore per Gesù e la Chiesa. Lasciamoci santamente umiliare da questo sangue che continua a parlare di Cristo. Esso sale dalla terra al cielo: dal cielo scenda su di noi, ci purifichi e ci rafforzi nella missione ricevuta.
Vi ringrazio per la vostra fraterna attenzione: le mie parole, altrettanto fraterne, desiderano solo introdurre i lavori di questi giorni, che affidiamo alla luce dello Spirito e alla maternità di Maria, grande Madre di Dio e della Chiesa.