martedì 23 gennaio 2024
A Tagaytay confronto tra religiosi, sacerdoti e laici impegnati sul campo. Lo sguardo su una società sempre più influenzata dai modelli esteri e una Chiesa tentata da una pastorale di conservazione
Con i più piccoli

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Si è tenuto a Tagaytay, sud di Manila, dal 15 al 18 gennaio scorso, l’incontro dei missionari italiani che lavorano nelle Filippine. Era dal 2018 che i missionari italiani, organizzati da Missio, organismo pastorale della Cei, non si incontravano, causa pandemia. L’incontro è stato riproposto quest’anno e ha visto una trentina di partecipanti, sul centinaio sparsi nelle isole che compongono l’arcipelago asiatico.

Tre giorni di dibattiti, preghiera, riflessioni sul tema Vangelo, cultura e missione oggi, iniziati con la relazione del vescovo Socrates Mesiona, vicario apostolico di Puerto Princesa, parte meridionale dell’isola di Palawan, che ha esordito con un esempio: «Ero a casa di amici, il figlio e un amico, ambedue di 7 anni, parlavano tra loro in inglese con accento americano. Ho chiesto ai genitori dove lo avessero imparato, visto che lo parlavano in modo fluente, e mi hanno risposto attraverso internet. Nessuno glielo aveva insegnato, lo avevano imparato da soli!». «Non è incredibile?», ha sottolineato monsignor Mesiona.

«Quando siete arrivati voi qui, cari missionari italiani, sono sicuro che avete dovuto frequentare una scuola per imparare la lingua locale, ma ciò non è successo per quei due bambini. Molti giovani filippini conoscono il coreano, imparato grazie all’influenza del K-pop, la musica coreana, in tv e sul web. Un altro esempio è il cibo: molti ragazzi non mangiano cibo tradizionale filippino ma patatine fritte, hamburger, pizza, cibi stranieri, molto diffusi ovunque. È evidente che con la globalizzazione il panorama culturale è profondamente e velocemente cambiato».

Pochi giorni fa, ha continuato il vescovo Socrates, «tre milioni di persone in processione per le strade di Manila hanno accompagnato il Poong Jesus Nazareno, il Cristo nero agonizzante. Se volete addormentare un filippino, parlategli di concetti su Gesù Cristo, se volete tenerlo vivo e appassionato, mostrategli il Nazareno o il Santo Niño. In questo contesto culturale, dunque, come annunciare il vangelo? Penso, come scrive il teologo statunitense Stevan Bevans, che il primo compito della missione sia il rispetto e il discernimento».

Nelle Filippine in missione

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È seguito l’intervento di Ione Signorini, del Movimento dei Focolari a Manila: «Seguendo in questi mesi gli incontri asiatici dell’assemblea sinodale, diversi partecipanti hanno enfatizzato e apprezzato ciò che avviene in varie parti dell’Asia: il gesto semplice di togliersi le scarpe quando si entra in una casa. Esodo 3,5 ricorda: “Toglietevi i sandali dai piedi, perché il luogo su cui state è terra santa”. Un gesto noto a tanti di noi, un atto concreto che ha un profondo significato di rispetto. È un’immagine che ci aiuta a capire l’importanza di entrare nel significato dei gesti, dei rituali della vita della gente e ci dice che non c’è missione se non si entra nel contesto culturale dove viviamo».

Per padre Matteo Rebecchi, saveriano, formatore a Manila, si vive una crisi della missione ad gentes, connessa con l’oblio del concetto di conversione dell’altro a Gesù. «Non solo non è considerata necessaria, ma anzi la si pensa lesiva dei diritti umani. Come risultato, la Chiesa rischia di concentrare la sua preoccupazione sui propri problemi interni. Ci si occupa di pastorale, di nuova evangelizzazione, ma rischia l’oblio il mandato missionario di annunciare Cristo a chi non lo conosce. Chi si prende cura della Cina, del Giappone, dell’Indonesia…? Per missione si rischia di intendere la semplice cura dei nostri cattolici. Un esempio è stato l’ultimo Congresso missionario nazionale qui nelle Filippine, un congresso che ha parlato quasi esclusivamente di pastorale per i filippini cattolici, piuttosto che diventare un momento di lancio per l’annuncio di Cristo a chi non lo conosce. Eppure l’annuncio è un diritto! Nella Evangelii gaudium al numero 14 papa Francesco afferma “tutti hanno il diritto di ricevere il Vangelo. I cristiani hanno il dovere di annunciarlo senza escludere nessuno, non come chi impone un nuovo obbligo, bensì come chi condivide una gioia, segnala un orizzonte bello, offre un banchetto desiderabile”».

“Alle sorgenti della missione” è stato l’intervento di don Graziano Gavioli, parroco a Modena, impegnato nella pastorale delle migrazioni, già fidei donum nelle Filippine. «Il Verbo fatto carne, ovvero Dio che attraverso suo Figlio assume non certo l’idealità dell’uomo, ma tutta la sua fragilità, tranne il peccato. Da qui nasce la missione, che è incontro con la gente là dove si trova: nei grattacieli, nei supermercati, negli squatter, sotto i ponti delle skyway di Metro Manila, le autostrade sopraelevate, tra ristagni putridi e case di cartone che si disfano al passaggio di ogni tifone. Missione è stare con la gente, qui nelle Filippine e ovunque, anche in Italia, sviluppando accoglienza, inclusione, partecipazione». Ha concluso don Marco Testa direttore del Cum, il centro formativo di Missio che accompagna i missionari, presentando il cammino della missionarietà oggi nella Chiesa italiana, tra missionari che partono e missionari non italiani (anche filippini) che arrivano per lavorare nelle diverse realtà ecclesiali italiane.

Musica in un istituto missionario

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