venerdì 1 settembre 2023
L'abbraccio alla piccola comunità cattolica risorsa per un grande Paese. Tra i temi della visita il ruolo delle fedi per promuovere la convivenza pacifica
Un manifesto di benvenuto a papa Francesco nella capitale Ulan Bator

Un manifesto di benvenuto a papa Francesco nella capitale Ulan Bator - REUTERS

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Papa Francesco torna in Asia orientale, costeggiando la Russia e sorvolando la Cina. Per atterrare a Ulan Bator, capitale dell’antico impero mongolo fondato dal condottiero Gengis Khan. Paese immenso, delineatasi a poco a poco sullo sfondo tumultuoso delle migrazioni dei “Popoli della Luna” che scorsero per secoli le vuote distese dell'Asia centrale e che oggi, a fronte della vastità del territorio, ha tra le più basse densità di abitanti al mondo: 3 milioni e mezzo, dei quali il trenta per cento è nomade. Perché il Papa oggi è qui?

La sua visita era stata annunciata diverse volte da Francesco, dopo che il quarantottenne cardinale Giorgio Marengo, missionario della Consolata e prefetto della capitale della Mongolia Ulan Bator – subito dopo il Concistoro dell’agosto 2022 – aveva reso noto di aver invitato papa Francesco a visitare il Paese delle steppe, dove è radicata una piccola comunità cattolica. Un desiderio quindi che si è affermato nel tempo e che lo ha spinto nuovamente a percorrere le rotte del quadrante orientale, dopo il Kazakistan nel settembre del 2022.

E una delle motivazioni principali, l’ha descritta lo stesso giovane cardinale: «L’importanza è evidente, vuol dire che il Papa ha una attenzione particolare a quest’area del mondo e crede molto nella capacità dei popoli dell’Asia di convivere pacificamente, di trovare soluzioni non violente e sagge anche ai conflitti» aveva affermato il cardinale Marengo in un incontro con i giornalisti prima dell’ultimo Concistoro.

«L’Asia – aveva continuato il cardinale missionario in Mongolia dal 2003 – è la culla delle grandi religioni del mondo, perciò il tema del dialogo interreligioso, della convivenza pacifica, dell’aiuto reciproco tra esponenti di varie fedi è una realtà di tutti i giorni. È prima una realtà che una teoria, e quindi questo può dire molto alla Chiesa e al mondo».

Dunque certamente questo è il motivo di un viaggio che mette al centro uno dei temi ricorrenti del magistero di papa Francesco: che le religioni possono e devono aiutare l’umanità alla convivenza, alla pace e alla cura per il creato e sarà al centro dell’incontro ecumenico e interreligioso del 3 settembre nella capitale in mezzo alle steppe. Soprattutto oggi nel mondo riarso dalle guerre in corso. L’altro evidente motivo è dettato dal voler incontrare una piccola realtà ecclesiale la cui presenza è una risorsa per tutti.

Per il suo 43° viaggio apostolico Francesco vuole infatti incontrare da vicino in un territorio antico una Chiesa nascente, spuntata da poco nel mezzo della vastità dell’Asia orientale tra la Russia e la Cina. E tutto è stato disposto per l'arrivo del primo Pontefice deciso a mettere piede nelle steppe mongole, sferzate da venti siderali, nella volontà di condividere, dopo quasi dieci ore di volo, tre giorni con una comunità giovane e minuscola di poco più che un migliaio di cattolici.

Un piccolo gregge senza diocesi, dato che l’intera Mongolia è un’unica Prefettura Apostolica guidata attualmente dal cardinale Marengo. Una piccola comunità rifiorita dal 1992, con l’approvazione della nuova Costituzione che garantisce libertà di espressione e di religione, dopo settant’anni di comunismo, e dopo che il cristianesimo, giunto con la Chiesa nestoriana nell’VIII secolo, era scomparso per centinaia di anni.

La visita apostolica sarà quindi caratterizzata dall’incontro con la piccola comunità cattolica per rivolgere parole di incoraggiamento e di speranza a questa realtà che offre un importante contributo nel campo della convivenza e dello sviluppo umano.

Un incontro anche sullo sfondo del lavoro in fieri per un accordo di relazioni diplomatiche tra la Mongolia e la Santa Sede che già nel XIII secolo vide un francescano italiano, Giovanni da Pian del Carpine, inviato da papa Innocenzo IV in missione diplomatica alla corte del Gran Khan. La mattina di domani sarà pertanto segnata dall’incontro con le autorità civili, tra cui il presidente Ukhnaagiin Khürelsükh e il primo ministro e il pomeriggio con la realtà della Chiesa locale nella cattedrale, costruita in una struttura circolare che ricorda le Ger – le tradizionali tende-abitazioni della popolazione nomade.

A seguire, nella giornata di domenica, sarà celebrata una Messa a cui assisteranno 2.500 fedeli e a cui parteciperanno anche pellegrini provenienti dalla Russia, da Hong Kong, Macao e dalla Cina continentale. Mentre al mattino del 3 settembre l’evento ecumenico e interreligioso nell’Hun Theatre della capitale con rappresentanti dello sciamanesimo, scintoismo, buddismo, dell’islam, dell’ebraismo, dell’induismo e altre confessioni. Un segno della vocazione all’armonia, alla convivenza pacifica – si vuole sottolineare – che caratterizza il nomade popolo mongolo ed è il compito delle fedi religiose.

Da sapere - Ulan Bator

Cuore della visita del Papa in Mongolia sarà la capitale Ulan Bator (o Ulanbaatar) dove abitano oltre 1.450.000 persone, cioè più del 40% della popolazione del Paese. Si trova ai piedi del Monte Bogd Khan Uul a 1.350 metri di altezza, nella valle del fiume Tuul. Fondata nel 1639 come centro monastico buddista nomade con il nome di Ka Kure, successivamente venne chiamata Orgoo. L’attuale denominazione di Ulan Bator, che significa “Eroe rosso” le fu data nel 1924 in onore del leader rivoluzionario Damdiny Sukhbaatar che liberò la Mongolia dalle truppe russe e dall’occupazione cinese. Il 1924 è infatti l’anno dell’indipendenza della Repubblica popolare mongola. Attualmente Ulan Bator è divisa in nove distretti. A causa della sua posizione geografica è considerata la più fredda capitale del mondo, con temperature spesso sotto i 30 gradi. (Red.Cath.)

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