domenica 28 gennaio 2024
A cinque mesi dalla visita di Meloni, arresti e perquisizioni colpiscono le piazze della droga, ma mancano investimenti e formazione Tensione sull’ipotesi-sfrati
Una veduta del Parco Verde di Caivano

Una veduta del Parco Verde di Caivano - ANSA

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inviato a Caivano ( Napoli) Non dover passare attraverso le piazze di spaccio per andare a scuola, per tornare a casa da lavoro, per raggiungere la Chiesa. Iniziare a vedere dopo diversi lustri - ma a singhiozzo, e troppo poco per uno standard che possa definirsi “civile” - uno spazzino che pulisce il viale. Sapere che è in carcere chi per anni ha reso il tuo pianerottolo una gabbia. Si può pensare quel che si vuole su quanto accaduto al Parco Verde di Caivano dopo il clamore mediatico suscitato dallo stupro di due cuginette, quando la premier Giorgia Meloni, con a seguito una larghissima delegazione di governo, si è assunta l’impegno di «bonificare» l’obbrobrio edilizio post-terremoto. Sul campo delle opinioni è legittimo pensare tutto: che sia una «passerella » in preparazione alle Europee, come teme un pezzo di città e come dice il governatore della Campania Vincenzo De Luca; o che invece lo schema messo in campo a Caivano, con oltre 52 milioni di euro e un Commissario straordinario alla riqualificazione, possa diventare un «modello» per le altre periferie degradate delle aree metropolitane.

La lotta allo spaccio Libertà di esercitarsi nelle opinioni dunque, ma partendo da un fatto: una grande piazza di spaccio a cielo aperto è stata rasa al suolo. Si è spostata altrove? Probabile. Mentre è certo che la manovalanza è diminuita, perché l’ex piccola tenenza dei Carabinieri, oggi Compagnia con 126 uomini e donne, ha arrestato 450 persone in meno di 2 anni, cui aggiungere un numero di arresti ancora più ampio a opera del Nucleo investigativo. Segno anche - e va detto - di un lavoro che era iniziato prima che arrivasse, il 31 agosto dello scorso anno, Giorgia Meloni. Insomma i «cambiamenti» iniziano a diventare un fatto con cui anche scettici e indifferenti devono fare i conti. Allo stesso tempo mancano tanti pezzi, e il timore che non vi si metta mano è forte.

Mancano investimenti Il primo pezzo, il lavoro. Già, perché c’è una contraddizione in terra di droga e di camorra: che perdere il salario del ma-laffare possa condurre nella fame. Ma di formazione professionale, o di investimenti privati, al momento non ce n’è traccia. Eppure a pochi chilometri c’è un’enorme aria industriale che fattura 5 miliardi di euro all’anno, con giganti come Unilever. Certo, è stata istituita la zona franca urbana. È stata incrementata la mobilità verso Napoli, Afragola, Aversa. Ma mancano ancora privati che credano davvero in chi non si è fatto trascinare negli abissi della criminalità.

Don Patriciello: basta contrapposizioni Azione ricostruttiva dopo l’azione repressiva, insomma. Don Maurizio Patriciello, il parroco della comunità San Paolo apostolo sotto scorta per minacce camorristiche, non ne può più di chi mette in contrasto i due lati della medaglia. « Basta, basta con chi mette in contrapposizione l’esercito delle forze dell’ordine con l’esercito degli insegnanti o degli assistenti sociali. Per sgominare le piazze di spaccio non servivano insegnanti, servivano le pattuglie. Fare i benpensanti dal proprio salottino, senza capire cosa sia questo posto, non è più tollerabile. Se non arriveranno insegnanti e assistenti sociali sarò il primo a dirlo. Ma questo “benaltrismo” davvero non ha più nessun senso». Da quando Giorgia Meloni è venuta qui, da quando Caivano è diventato uno dei dossier principali del sottosegretario Alfredo Mantovano, e da quando ministri e sottosegretari si alternano sul posto per dirigere riunioni e progetti (proprio una visita a Caivano è costata al ministro Lollobrigida la “polemica del Frecciarossa”), don Patriciello è accusato di “credere troppo” nell’operato del governo. « Io ho scritto a tutti: Conte, Renzi, Letta... Se Meloni fa, dico che fa. Quando non farà, dirò che non farà. In questo posto non si parteggia per nessuno, si chiedono risposte che non sono state date per decenni. Chi critica si facesse un esame di coscienza». Intanto la parrocchia e la comunità sono diventati il punto di riferimento delle istituzioni. Giovedì, ad esempio, il sottosegretario alla Cultura Gianmarco Mazzi, insieme al direttore dell’Antoniano fra’ Gianpaolo Cavalli, sono venuti a concordare la presenza a Caivano dello storico coro di bambini.

Il bivio delle Europee Don Patriciello e i suoi più stretti collaboratori afferrano le mani tese ma comprendono anche il pericolo imminente, il bivio delle elezioni europee dell’8-9 giugno. Entro il 31 maggio si chiuderanno i lavori dell’ex Centro sportivo Delphinia, simbolo del degrado del Parco Verde. E non ci vuole la palla di cristallo per immaginare che l’inaugurazione diventerà uno dei più importanti appuntamenti della campagna elettorale delle forze di governo. Appena tre mesi dopo, il 17 settembre, scade l’incarico da Commissario straordinario Fabio Ciciliano. Rimarrebbero, con una probabile proroga, i tre commissari prefettizi insediatisi al posto del sindaco e del Consiglio comunale, “chiusi” (è la triste consuetudine di Caivano) per infiltrazione camorristica. Il modo per dissolvere i timori di un disimpegno postelettorale non è così complesso: annunciare per tempo, prima delle Europee, la proroga del Commissario straordinario alla riqualificazione.

Le forze dell’ordine: presidio e relazioni Di certo, qualsiasi cosa accada a livello politico, non cambierà il lavoro dei Carabinieri. Il giovane capitano Antonio Maria Cavallo ha scelto di muoversi a Caivano, al Parco Verde, nelle “case a mattoni” e nel cosiddetto “bronx” cercando, parole sue, «la relazione con le persone». Certo, per sgominare le piazze di spaccio è servita la mano pesante, comprese multe e perquisizioni ai clienti del “mercato”. Eppure martella su un altro concetto il capitano Cavallo: «Sicurezza partecipata ». Ci crede. E va lui stesso ai laboratori dei bambini, partecipa alle attività della comunità... Al pezzo educativo del “progetto-Caivano” sembra crederci lui più di tutti.

Lo spauracchio degli sgomberi Il punto ora è cercare di coinvolgere la comunità nel cambiamento. E la sensazione è che abbia fatto male, molto male, l’indiscrezione emersa nei giorni scorsi secondo cui si vorrebbe dare esecuzione a 250 sgomberi di occupanti abusivi. Si sa, lo sanno tutti, che molte famiglie non hanno titolo a stare nelle case post-terremoto. Vivono in un’illegalità tollerata da decenni. Così come è stato tollerato, chiudendo tutti e due gli occhi, il business delle case occupate, gestito dalla camorra. Ma l’equazione “occupante uguale delinquente” è sbagliata. Le istituzioni non possono dirlo, don Patriciello sì. Se di colpo lo Stato decidesse di far valere la legge, migliaia di persone, tra cui anziani e bambini, non saprebbero dove mettere il capo la sera. Perciò dopo la “soffiata” la procura, il governo e la struttura commissariale hanno imposto il silenzio. Si devono cercare altre strade per tenere insieme legalità e umanità. Serve una norma nazionale. Quando lunedì a Caivano è venuto il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, gli attori del territorio sono stati chiari: mettere la gente in strada vanificherebbe il percorso che si sta facendo. Lo Stato darebbe la mazzata finale a chi paga il conto lasciato dall’anti-Stato.

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