mercoledì 14 febbraio 2024
Nascere europei da cittadini stranieri è possibile. Nei Paesi Ue che concedono la cittadinanza ai piccoli nati sul territorio europeo
Come funziona la cittadinanza agli stranieri nei Paesi europei

EPA/STEPHANIE LECOCQ

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Nascere europei da genitori stranieri si può, almeno in quei Paesi Ue che concedono la cittadinanza ai piccoli nati sul territorio europeo con origini non comunitarie. Si tratta dei Paesi che applicano il cosiddetto “Ius soli temperato” che non è un diritto acquisito (come negli Stati Uniti) ma prevede almeno un’altra condizione oltre al fatto di essere nati nel territorio dello Stato.

È il caso fino ad oggi di otto Paesi: Germania, Francia, Spagna, Portogallo, Belgio, Grecia, Olanda e Irlanda. Gli Stati europei che attualmente non prevedono alcuna forma di “Ius soli” invece sono: Italia, Austria, Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Danimarca, Estonia, Finlandia, Ungheria, Lituania, Lettonia, Malta, Polonia, Romania, Slovacchia, Slovenia e Svezia.

Nel Paese più popoloso d’Europa, la Germania, un bambino acquisisce la cittadinanza tedesca alla nascita solo se almeno uno dei due genitori ha un permesso di soggiorno permanente (da almeno tre anni) ed entrambi i genitori risiedono in Germania da almeno otto anni.

Ma gli anni si ridurranno a cinque non appena entrerà in vigore la riforma della cittadinanza approvata a gennaio per attirare più lavoratori qualificati nel paese. Secondo la nuova legge, il bambino nato sul suolo tedesco otterrà automaticamente la cittadinanza tedesca, senza dover rinunciare a quella dei genitori.

La Germania è infatti uno dei pochi Paesi europei in cui non è ammessa la doppia cittadinanza (eccezion fatta per cittadini svizzeri e comunitaria) portando al grave dilemma di rinunciare (o meno) alla cittadinanza di origine per i numerosi residenti di origine turca e balcanica.

In altri quattro Stati membri dell'Unione Europea: Francia, Lussemburgo, Paesi Bassi e Spagna, viene invece applicato il cosiddetto “doppio ius soli”. Questo significa che un bambino nato nel territorio di uno di questi Stati acquisisce la cittadinanza del Paese se almeno uno dei suoi genitori è nato nello stesso territorio, indipendentemente dalla loro nazionalità. Un approccio simile (“doppio Ius soli condizionato”), lo ha intrapreso più recentemente anche la Grecia, dove i bambini nati all’estero e i cui genitori abbiano vissuto in Grecia per cinque anni acquisiscono la cittadinanza al completamento del primo ciclo di studi. Gli stranieri maggiorenni devono invece avere vissuto nel Paese per almeno 7 anni.

Nello specifico, nel secondo Paese più popoloso dell’Ue, la Francia, i nati nella Repubblica da almeno un genitore straniero, a sua volta nato nel Paese, ottengono automaticamente la cittadinanza francese. Inoltre i figli di stranieri, che risiedono da almeno cinque anni nel Paese, possono invece richiedere la cittadinanza quando diventano maggiorenni se hanno risieduto nel Paese per almeno cinque anni dall'età di 11 anni in poi. Come spieghiamo qui sotto, però, si è aperto un dibattito in vista delle prossime elezioni, che potrebbe preludere a un possibile giro di vite sulle regole.

In Belgio invece un bambino diventa cittadino se almeno uno dei genitori è nato nel Paese o vi ha vissuto cinque degli ultimi dieci anni. La cittadinanza si acquisisce dopo il compimento dei 18 anni o dei 12 anni, se i genitori sono residenti da almeno dieci anni nel Paese

Anche in Portogallo vige una forma di “Ius soli temperato”, il riconoscimento della cittadinanza dei figli di stranieri nati all’interno del territorio dello Stato avviene a condizione che i genitori siano residenti nel Paese da almeno due anni.

In Irlanda, invece, ai figli di stranieri nati entro i confini del Paese viene riconosciuta la cittadinanza se almeno uno dei due genitori è residente nello Stato da almeno tre anni.

Secondo dati Eurostat del 2023, nell’Ue il tasso di naturalizzazione dei cittadini di origine straniera è comunque molto basso, attestandosi al 5% in 23 Stati membri. Solo in Svezia e nei Paesi Bassi supera il 10%, mentre in sei Paesi dell’Europa centrale e baltica (Repubblica Ceca, Croazia, Ungheria, Estonia, Lettonia e Lituania) non arriva all’1%. In Italia si attesta appena al di sotto del 3%. Questi dati sono in aperta contraddizione con le ambizioni inclusive della Commissione europea che vorrebbe vedere le minoranze sempre più rappresentate nelle sfere pubbliche. È evidente però che gli ostacoli, che si presentano sin dalla nascita, non aiutano a sviluppare il pieno potenziale della cittadinanza europea.

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