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Meglio scrivere "genitori" invece di madre e padre sulle carte d’identità o sui moduli scolastici dei ragazzi al di sotto dei 14 anni? Oppure "genitori 1 e 2"? Potrebbe apparire una differenza di poco conto, ma non è così. Sarà comunque indispensabile attendere il parere del garante della privacy e poi la decisione della Conferenza Stato-Regioni per capire la struttura del decreto del ministero dell’Interno destinato a cancellare, per la seconda volta in pochi anni, le parole padre e madre dalle carte d’identità elettroniche dei minori di 14 anni per far posto a un più generico "genitori".
Mercoledì le agenzie di stampa e le comunicazioni diffuse dopo il question time a cui il ministro Luciana Lamorgese ha risposto alla Camera, lasciavano intendere che le tradizionali denominazioni di madre e padre sarebbero state sacrificate sull’altare delle richieste europee e per rispettare le "criticità tecniche" segnalate dal garante della privacy. Di conseguenza sarebbe stata ripristinata l’anonima classificazione numerica dei genitori che già aveva fatto tanto discutere quando era stata introdotta nel 2015 dal governo Renzi.
Ma ieri la segreteria della ministra Lamorgese ha precisato che nella bozza del decreto non c’è al momento alcun riferimento numerico. Niente "genitore 1 e 2" ma semplicemente "genitori" o "tutori" nel caso di assenza dei primi. In un allegato del decreto si sottolinea anche le necessità di indicare nome e cognome dei genitori stessi. Ora, una madre e un padre biologici sono naturalmente genitori. Quindi il cambio lessicale non incide sull’identità e sui ruoli. Mentre nel caso delle famiglie arcobaleno maternità e paternità possono essere sia biologiche, sia "di intenzione".
Per questo motivo il garante della privacy ha sottolineato «forti criticità dal punto di vista della protezione dei dati e della tutela dei minori, nel caso in cui i soggetti che esercitano la responsabilità genitoriale non siano riconducibili alla figura materna o paterna».
Ma è proprio così? Esistono davvero criticità nel riferimento esplicito alla madre e al padre nel caso di famiglie in cui uno dei due partner della coppia non fondi il suo ruolo su un dato biologico?
«La volontà di non riconoscere la peculiarità della funzione materna e paterna al punto da non nominarla, è una scelta che deve interrogare», osserva Camillo Regalia, docente di psicologia sociale alla Cattolica e direttore del Centro di ateneo studi e ricerche sulla famiglia. «Nominare la madre e il padre non deve far paura. Dal punto di vista della costruzione identitaria, sacrificare il riferimento personale per richiamarsi genericamente al concetto di genitori non è certo positivo».
A parere del docente non è questa la strada corretta per legittimare forme di genitorialità non biologica, quasi che, dove invece esiste una genitorialità evidente e chiara, si possa aprire una contrapposizione. Non dev’essere così, ma è evidente che ci sia anche una componente ideologica nel Regolamento europeo in materia di dati personali a cui il nostro quadro normativo deve adeguarsi, come spiegato dalla ministra Lamorgese, oscurando i nomi di madre e di padre.
«Quando si parla di famiglie arcobaleno occorre essere assolutamente rispettosi. In molte situazioni questi nuclei mostrano un impegno educativo lodevole anche se – sottolinea ancora Regalia – le difficoltà rimangono e non dobbiamo avere timore di parlarne. Il grande equivoco è quello di pensare che si possa parlare di funzioni genitorali indipendentemente dal fatto che i ruoli siano biologicamente determinati. Facciamo un esempio per chiarire meglio: una madre single può assolvere anche a una funzione paterna? Evidentemente sì, ma avrà maggiori difficoltà e farà più fatica. Lo stesso per una coppia omogenitoriale. Sono situazioni in cui si aggiungono dati problematici a una realtà, quella del ruolo genitoriale, che è già complesso di per sé».
Aspetti da affrontare senza toni da battaglia, ma guardando la realtà per quello che è, visto che il confronto esasperato sui problemi antropologici non ha altro effetto se non quello di rendere tutto confusivo e ideologico. «In ogni caso decidere di rinunciare ai nomi di padre e madre per lasciare solo "genitori" – conclude il direttore del Centro di ateneo della Cattolica – significa rinunciare alle differenze per privilegiare la vaghezza dell’indistinto. E questa non è certamente una scelta che aiuta a risolvere le situazioni. Se l’obiettivo è quello di costruire un’alleanza genitoriale forte per il bene del proprio figlio, è importante, in ogni situazione, non dimenticare le differenze neppure sul piano lessicale».