Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e il premier, Giuseppe Conte, in una foto d'archivio - Ansa
A Palazzo Chigi predomina l’ottimismo. O almeno, l’ordine di scuderia è non far trapelare timori. «Bisogna far capire che il mood spinge il presidente», dicono gli spin doctor di Giuseppe Conte. E anche al vertice di maggioranza il premier fa un punto della situazione rassicurante. In videoconferenza, per due ore, ci sono Nicola Zingaretti e Dario Franceschini per il Pd, Alfonso Bonafede e Vito Crimi per M5s, Roberto Speranza per Leu.
La composizione del gruppo "volenteroso" al Senato sarebbe vicina, sotto il simbolo Maie sono in 7, ne mancano 3 per una componente autonoma che dovrebbe avere voce in capitolo nelle commissioni. E le interlocuzioni con i fuoriusciti di Fi alla Camera e a Palazzo Madama farebbero sperare in un piccolo effetto-contagio che darebbe anche all’Udc la possibilità di cambiare il proprio orientamento.
Da Iv tre sarebbero pronti a tornare nel Pd. Mentre alla Camera il lavoro di Bruno Tabacci con il simbolo di Centro democratico sembra poter dare senza affanni l’esito sperato. La priorità, condividono Conte e i leader, è ricomporre il quadro parlamentare quantomeno sotto il profilo dei numeri entro il fine settimana, dato che Matteo Renzi ha annunciato per mercoledì 27 il «no» di Iv alla relazione sulla Giustizia del Guardasigilli Bonafede. Entro quel passaggio parlamentare, quindi, la "quarta gamba" deve essere pronta.
Da quel momento partirebbe la partita-rimpasto. Il premier è fermamente intenzionato a gestire il cambio della squadra di governo senza dimettersi. Niente Conte-ter, dunque. La "carta" che è pronto a scoprire è lo spostamento di Bonafede ai Servizi, liberando la Giustizia per il dem Andrea Orlando. Con l’Agricoltura, un decreto spacchetta-deleghe e nuovi sottosegretari il premier vorrebbe infine andare incontro ai "volenterosi", a Leu e a qualche anima scontenta di M5s.
È al Colle però che Conte deve fare i conti con i timori e le preoccupazioni che la comunicazione di Palazzo Chigi cerca di sopire. Il premier arriva al Quirinale poco prima delle 19. Per tutta la giornata al Quirinale si è attesa una telefonata da Palazzo Chigi, per fissare l’incontro. Telefonata che arriva solo alle 16.45, a preannunciare l’arrivo di Giuseppe Conte alle 18.30 per riferire sull’evoluzione di una crisi in realtà formalmente mai aperta. Ma neppure chiusa del tutto, dal momento che il governo si trova senza una maggioranza autosufficiente a Palazzo Madama e con il contributo "una tantum" venuto da 3 senatori a vita, fra i quali l’unica nominata da Mattarella, Liliana Segre.
Un colloquio durato meno di mezz’ora, coperto al Colle dal più assoluto riserbo. Il presidente del Consiglio ha dato conto a Mattarella di un quadro in evoluzione e dunque alla fine trapela solo un esito "interlocutorio". Appare evidente che Mattarella non intende apparire in alcun modo regista o suggeritore dell’eventuale riposizionamento di singoli parlamentari e della eventuale costituzione di nuovi gruppi. Ma basta mettere in filigrana la fretta che Conte ha manifestato nel tweet a caldo dopo il voto di fiducia del Senato e la prudenza che trapela da questo incontro, per intuire le difficoltà tuttora esistenti dell’operazione-"volenterosi". Difficoltà che Mattarella non ha neanche avuto bisogno di risottolineare nei dettagli.
D’altronde è passato quasi un mese da quando il confronto nella maggioranza si è aperto, senza mai trasformarsi - vanificando gli inviti di Mattarella - in un chiarimento franco e "diretto". E ora che emerge dai numeri la dipendenza della maggioranza ancora dall’astensione dei renziani, Mattarella, chiaramente amareggiato per questo esito che non ha tenuto in gran conto i suoi consigli, si è limitato a chiedere a Conte di verificare meglio come intende affrontare i prossimi appuntamenti. Il capo dello Stato vuole restare fuori dalle "conte", anche alla luce del pressing del centrodestra, e di Renzi, sul Quirinale.