Maria Pia Garavaglia, Pier Ferdinando Casini, Giuseppe Sangiorgi e Antonio Bassolino alla presentazione del libro
Quella volta che Giorgio Amendola, leader napoletano e “migliorista” del Pci si armò di autorità con un giovanissimo Antonio Bassolino, appena 23enne, e gli disse: «La devi smettere di fare l’operaista…». Così gli fece la domanda trabocchetto su una varietà di nocciola che naturalmente non conosceva: «Vedi? Devi andare a fare il segretario provinciale ad Avellino!». Detto fatto, prese il telefono e comunicò la notizia agli ignari “compagni” della federazione irpina.
E fu così che il futuro sindaco di Napoli si andò a fare le ossa in provincia tenendo a battesimo ad Avellino la solidarietà nazionale e, in qualche modo, dall’esterno, una classe dirigente democristiana che di lì a un decennio avrebbe calcato da protagonista assoluta la scena nazionale.
Nella sala del refettorio di Palazzo San Macuto, a Roma si presenta il libro del giornalista del giornale radio Rai Daniele Morgera “Li chiamavano i magnifici sette”: Ciriaco, Gerardo e gli altri, verità e leggende della DC irpina che arrivò a governare l’Italia, appena uscito per le edizioni La bussola. Una storia che, un po’ come Bassolino, poteva essere raccontata solo da un non irpino, o da un irpino acquisito, come Morgera, che, vivendo ad Ariano irpino dopo aver sposato una arianese, ha voluto divulgare un racconto di cui è venuto a conoscenza, che lo ha come folgorato. Una storia bella ma da maneggiare con cura, perché c’entra molto il valore dell’amicizia, fondamentale anche in politica, che però non è indissolubile o immutabile nel tempo.
La voce narrante è di fantasia, nonno Genesio che racconta a una altrettanto immaginaria nipotina Alfonsina. E in qualche modo immaginario è anche il mezzo di locomozione su cui il narratore si sposta nei diversi paesi di origine dei protagonisti, un treno definito ad “altra” velocità, ambientato in una provincia che si è vista relegare le linee ferroviarie che l’attraversano fra i rami secchi, anche se la mitica linea Avellino-Rocchetta Sant'Antonio che attravrersa tutta l'Alta Irpinia, resiste ancora come linea, meravigliosamente lenta, a fini turistico-paesaggistici, e l'autore ci è salito sopra.
Sono più di 7, in realtà, questi protagonisti e una citazione merita prima di ogni altro, il capostipite, Fiorentino Sullo, che fu costituente, ministro dell’Istruzione ma che Maria Pia Garavaglia, come anche Bassolino, ricorda da ministro dei Lavori pubblici per una legge urbanistica che ha fatto scuola, dei primi anni Sessanta, sebbene in realtà legge non sia mai diventata, per la durissima opposizione della lobby dei palazzinari del tempo, come ricorda Beppe Sangiorgi, storico portavoce di Ciriaco De Mita, chiamato a moderare il dibattito per ricordare un tempo in cui Nusco era “caput mundi” e, scherza, «Napoli era Avellino marittima».
Perché Garavaglia? Perché questa storia nasce, in qualche modo, a Milano e nella sua Lombardia, all’università Cattolica frequentata dagli irpini Ciriaco De Mita e Gerardo Bianco e dal calabrese Riccardo Misasi, folgorati dal fondatore lombaro della corrente di Base Giovanni Marcora al pari dell’ex ministra della Sanità ed ex presidente della Croce Rossa. «Il governo al Nord e il partito al Sud», era la tesi di Marcora (sposato fra l'altro con una Garavaglia), che, da geometra che in tempi di guerra non aveva potuto laurearsi, credeva nella cultura e quindi nella saldatura fra gli interessi economici di cui il Nord era portatore e la "visione" di cui erano portatori invece tanti uomini del Sud, molti venuti a studiare al Nord.
Ma è una storia, questa, presto segnata da dolorose rotture. Quella fra Sullo e suoi giovani, capeggiati da De Mita. Quella fra lo stesso ex segretario della Dc e Gerardo Bianco. E quella di Aristide Savignano, intellettuale di grande prestigio, futuro rettore dell’università di Salerno che a un certo punto deciderà di abbandonare la terra irpina e l’avventura politica per traferirsi in Toscana.
Perché questa “banda”, come la chiama scherzosamente Sangiorgi, «squadra» preferisce definirla con rispetto Bassolino, nasce come un gruppo di impegno culturale attorno al periodico Cronache Irpine e poi da lì c’è chi si è dato anima e corpo alla politica e chi ha scelto per l’impegno culturale o il giornalismo. E c’è la storia a cavallo fra politica e giornalismo di Antonio Aurigemma, detto “Nacchettino” per un soprannome misterioso appioppatogli dalla nascita con il quale era noto presso tutte le grandi firme del giornalismo politico degli anni Ottanta, che si rivolgevano a lui per decriptare i punti più reconditi del verbo demitiano nei mitici congressi della Dc degli anni Ottanta. Cognato di Savignano per aver sposato due sorelle di Sant’Angelo dei Lombardi, Pia e Augusta Capone, che persero fra l’altro tragicamente un fratello fra le macerie del paese simbolo del terremoto del 1980. Ma Aurigemma prima di scegliere definitivamente il giornalismo (fu caporedattore ed editorialista del Mattino) è stato anche sindaco di Avellino per 5 anni, e qui c’entra Bassolino perché proprio in quel quinquennio (1970-1975) in cui l’ex sindaco di Napoli e presidente della Regione Campania fu segretario della federazione irpina, al Comune di Avellino si realizzò un esperimento di appoggio esterno del Pci, in leggero anticipo con la politica della solidarietà nazionale che caratterizzerà la seconda metà degli anni Settanta.
Ma certamente il più noto fra i giornalisti di quel gruppo è Biagio Agnes, originario di Serino, uno dei più duraturi e stimati direttori generali della Rai, in grado di tener testa all’offensiva che fra la fine degli anni Ottanta e gli inizi anni Novanta venne dalle reti private e in particolare dalla Fininvest di Silvio Berlusconi. Leggendaria, nel racconto di Garavaglia l'antica idiosincrasia di De MIta nei confronti del futuro leader di Forza Italia, che lo portò a chiudersi a chiave in una stanza quando seppe che ad un incontro era arrivato inaspettato l'allora giovane costruttore, inventore di "Milano 2".
Ma, naturalmente, dei “magnifici sette” si ricordano soprattutto i politici. Salverino De Vito, di Bisaccia, Comune di cui fu a lungo sindaco, ministro del Mezzogiorno con Craxi, autore della legge sull’imprenditorialità giovanile. Ortensio Zecchino, il più giovane della cordata e arianese come l’autore, che fu ministro dell’Università in epoca più recente, incarico da cui si dimise per tentare l’avventura, con Andreotti e D’Antoni di Democrazia Europea, attualmente alla guida del Comitato incaricato di celebrare gli 80 anni della Democrazia Cristiana.
Poi Nicola Mancino, da Montefalcione, ex presidente del Senato e ministro dell’Interno che, in quel gruppo di politici/giornalisti, piccola curiosità, si era ritagliato il ruolo di promettente cronista sportivo.
E poi Gerardo Bianco, da Guardia Dei Lombardi, mitico capogruppo dei peones democristiani, che diventerà Gerry White alla guida del partito popolare italiano, una volta finita la storia della Dc. «Una storia interrotta per via giudiziaria», dice Peppino Gargani, da Morra De Sanctis, un altro dei magnifici 7 (che poi a contare bene, compreso Sullo, sono praticamente 10), uomo-giustizia prima della Dc, poi di Forza Italia, che ha organizzato l’incontro come presidente dell’associazione degli ex parlamentari.
Nutrito il parterre: il direttore del Corriere dell'Irpinia Gianni Festa, l'ex esponente socialista, poi passato a Forza Italia, Fabrizio Cicchitto; c’è il senatore Andrea Manzella; l’ex sottosegretario Angelo Sanza, Pinella Aurigemma, figlia di "Nacchettino", Lucrezia, Titti, e Simona Agnes, figlie dell’ex dg della Rai e la vedova, Rosella Valentinetti; l’ex presidente del Cnr Lucio Bianco, fratello di Gerardo, presenti anche la vedova Tina e il figlio Fazio Bianco; Chiara Mancino, figlia dell’ex presidente del Senato; Gianfranco De Vito, figlio dell'ex ministro; Nicola e Alessandra Savignano, figli di Aristide, l'ex senatore del Cdu Maurizio Eufemi legatissimo a Bianco al pari di Gerardo Capozza, segretario generale dell'Aci; e poi Stefano Luppi, ad di TvSat.
E c’è anche Antonia De Mita, figlia primogenita del leader indiscusso, Ciriaco De Mita, l’intellettuale della Magna Grecia nella celebre definizione di Gianni Agnelli, a metà fra il riverente e l’irriverente, ricordata nella postfazione da Andrea Covotta, direttore di Rai Quirinale, arianese e conterraneo acquisito dell’autore. E la mente corre a un celebre 3 a 3 fra Avellino e Juventus, che vide uscire Zoff con la partita saldamente sul 3 a 0 per la Juve, a metà del secondo tempo, per fare posto all’ultima di campionato – non era mai accaduto - al malcapitato suo vice Alessandrelli e dare un po’ di gloria anche a lui, invece si rivelerà per lui un’onta difficile da scrollarsi di osso. Il portierone azzurro ha sempre escluso, nella sua uscita dal campo, una volontà di favori di alcun tipo alla squadra del cuore del futuro segretario della Dc, che in quella circostanza, peraltro, era in tribuna. E se lo dice lui c’è da credergli. Ma la leggenda metropolitana vede in filigrana l’incombere delle due figure più potenti degli anni 80, il numero uno della Fiat e il futuro leader della DC, anche se era ancora il 13 maggio 1979, e De Mita della Dc era ancora vice segretario, segretario lo sarebbe diventato tre anni dopo. Ma si sa, le leggende metropolitane una volta che si affermano sono poi difficili da debellare.
«Nostalgia? La politica non si fa con la nostalgia, ma ne è un elemento», dice Pier Ferdinando Casini. La politica nel frattempo è cambiata in peggio? «Non lo dico, perché quando ero giovane detestavo chi lo sosteneva, e non voglio caderci anche io», taglia corto. Ma si capisce che un po' lo pensa.