Il Recovery plan italiano, il documento su cui si fonda il futuro del Paese, è ormai ufficialmente il velo dietro il quale si nasconde la più confusa e spericolata trattativa politica degli ultimi anni. Un testo che Iv stropiccia ma non cestina, e che Pd-M5s-Leu difendono senza salti di gioia. Ma che Conte, ora, vuole chiudere. Lanciando un’ultima proposta alla sua sfilacciatissima maggioranza: «Licenziamo il Pnrr, non accumuliamo altri ritardi, non possiamo risolvere intorno a questo piano tutte le questioni di maggioranza. Poi nei prossimi giorni faremo un confronto sulle priorità della legislatura ». Riforme economiche e istituzionali, anche.
È il passaggio politicamente più rilevante dell’introduzione del premier al vertice convocato ieri a Palazzo Chigi. Un vertice trasformato in show in differita da parte dei vari staff di comunicazione, con veline che miravano, evidentemente, a rafforzare le posizioni negoziali di parte e ridicolizzare gli 'avversari'. E così mentre Iv faceva sapere che Boschi, Faraone e Bellanova avevano 'pizzicato' Conte e Gualtieri su alcuni punti fragili del Pnrr, gli stessi ribattevano facendo sapere che alcune questioni poste avevano in realtà risposta nel testo sotto i loro occhi: «Maria Elena, guarda che dei porti del Sud parliamo a pagina 10, ecco...», è il siparietto animato dal premier. E mentre il Pd informava dell’ultimatum di Orlando («La crisi va messa in conto, a questo punto...»), Leu, il partito del ministro della Salute Speranza, si affrettava a togliere il Mes dal tavolo, un po’ nell’incredulità generale.
Giochi di prestigio buoni per tenere insieme tutto e niente, rottura e negoziato. È la prova provata che quello di ieri sera non era un vero vertice risolutivo. E quindi bisogna selezionare, dal fiume di 'da quanto si apprende', ciò che conta politicamente. Conte che chiede di fermare la guerriglia sul Recovery. Il Pd che chiede a Italia Viva di «non commissariare il Cdm». E Italia Viva, con Renzi e Boschi, che chiede di vedere il «testo completo» e 24 ore per dare poi un giudizio. Un prendere tempo generale che porterebbe a fissare il Cdm a metà della prossima settimana. In fondo, sono questi gli unici appigli che possono far parlare di una trattativa ancora aperta, sebbene attaccata a un filo sottilissimo. Perché ripescando le parole che precedono il vertice, si dovrebbe semplicemente prendere atto che il governo è finito. «È al capolinea», annuncia la ministra renziana Bellanova poche ore prima del vertice. Poi è ancora più netta: Conte «dovrebbe prendere atto che questa esperienza di governo è conclusa». E a incontro in corso, il presidente di Iv Rosato ricordava che «nessuno è indispensabile, nemmeno Conte». Parole così crude da far sembrare Renzi un paciere. Certo, «se non si fa nulla preferisco l’opposizione, sono sei mesi che chiediamo il Recovery e non hanno fatto nulla...». Però circa il nuovo Recovery «prima di dire sì vogliamo leggerlo». Il punto è che Gualtieri non vorrebbe dare il nuovo Pnrr prima del Cdm per non farlo 'massacrare' (altro tema, questo, di duro scontro con Boschi e Iv).
La scelta però tocca a Conte. Che mette le mani avanti su due punti. Il primo, non potevano essere recepite tutte le proposte di ciascun partito. Secondo, la richiesta di usare tutta la componente 'prestiti' viene respinta perché renderebbe il debito «insostenibile», a prescindere che sia «buono o cattivo». Miglioramenti, semmai, si possono ancora fare su «donne, giovani e Sud». Ma insomma, sul Pnrr, anche per rassicurare il Paese, bisogna chiudere, è il pensiero del premier. Renzi ora ci pensa. Aspetta di capire cosa il premier intenda per tavolo sulle priorità. Pd e M5s vogliono un incontro tra leader a porte sbarrate per definire anche rimpasto o strada verso il Conte-ter, prima ancora del Cdm sul Recovery. Ma aver portato la 'deadline' della crisi a metà della prossima settimana vuol dire, in sostanza, che Renzi e Conte vogliono ancora capire chi riesce a logorare chi, e come. Per poi accordarsi. O rompere.