Il volto impallidisce. Un brivido scende per la schiena. La mente si ribella. La "Relazione territoriale sugli illeciti connessi al ciclo dei rifiuti tossici in Campania" è netta e impietosa. È terribilmente vera. Il disastro ambientale campano viene paragonato alla peste del Seicento. Avvenire ha titolato così, ieri mattina, dopo aver seguito e raccontato, nei giorni precedenti, il ministro della Salute in una ricognizione senza ufficialità e senza ammortizzatori per le nostre martoriate 'terre dei fuochi e dei veleni'. Già, come nel Seicento. Il paragone, però, pecca per difetto. I nostri antenati di quella sciagura non avevano colpa. Allora il nemico, la peste, era invisibile, anche i medici brancolavano nel buio. In una chiesa in provincia di Napoli, una pietra tombale recita: «Da contagio crudele empio e vorace de mortali che in Fratta ebbero morte la maggior parte in questa tomba giace. 1657». Cari antenati nostri. I poveri, come sempre, pagarono il prezzo più alto. Ma nemmeno i ricchi e i prepotenti sfuggirono al terribile flagello. Al lazzaretto Renzo «riconobbe don Rodrigo… stava l’infelice immoto, spalancati gli occhi ma senza sguardo…». Appestato anche lui.
Dopo tre anni di studi e indagini la Commissione presieduta da Gaetano Pecorella tira, dunque, le somme: «Si tratta di danni incalcolabili, che graveranno sulle future generazioni. Il danno ambientale che si è consumato è destinato, purtroppo, a produrre i suoi effetti in forma amplificata e progressiva nei prossimi anni…». In Campania la gente semplice, i volontari, gli avvistatori dei roghi maledetti lo gridavano da anni. E da troppi responsabili della cosa pubblica venivano regolarmente accusati di fare allarmismo. «Tutto è sotto controllo… state sereni», veniva detto loro. Quante volte sono stati allontanati dalla polizia in tenuta antisommossa... D’altronde il 'popolo sovrano' di quali mezzi disponeva? Loro sapevano. Loro mentivano. Loro portano sulla coscienza un macigno che le generazioni future difficilmente riusciranno a perdonare. Ma 'loro' chi? La camorra, certo. E non solo. Troppo comodo sarebbe oggi nascondersi dietro quel truce sipario. Tanti pentiti lo hanno detto a chiare lettere: «Da soli, senza agganci politici e istituzionali, non avremmo potuto fare niente. Noi, all’inizio, nemmeno sapevamo che i rifiuti potessero diventare oro…».
Non bisogna avere paura della verità. Mai. Nemmeno quando ci fa male. Solo l’ipocrisia, la disonestà, la corruzione, l’inganno allontanano i cittadini dalle istituzioni e dalla politica. Ce lo diciamo sempre, ad altri propositi, anche quando parliamo con amore della nostra Chiesa. Adesso veniamo a sapere che sono state fatte tante cose in questi anni «per finalità di agevolazione di soggetti titolari di interessi privati, in totale spregio dell’interesse pubblico». E lo sappiamo non da un giornalista, da un prete o da un ambientalista. Lo sappiamo dalla Commissione ecomafie. Da un Rapporto ufficiale. Settecento pagine che grondano lacrime e sangue. E i Commissari sottolineano qualcosa che noi non ci siamo mai stancati di denunciare: «Il problema dei rifiuti in Campania non è più un problema regionale, se mai lo è stato, ma un problema nazionale». E adesso che faremo? Una diagnosi esatta, ma senza terapia da praticare, porta lo stesso alla morte del paziente. Un paziente che non può, non vuole, non deve morire. Tra i camorristi, in questi anni, abbiamo visto dei pentiti. Ma purtroppo li abbiamo visti solo tra loro. Sarebbe ora che si facessero avanti anche quelli che con silenzio omertoso o complicità esplicita hanno contribuito all’agonia della nostra terra. Per parlare ed espiare. Per chiedere perdono e aiutare.
C’è una data che spaventa: 2064. Sarà questo, secondo gli esperti, l’anno in cui il percolato raggiungerà la falda acquifera con conseguenze nefaste. Che facciamo? Attendiamo rassegnati, con le mani in mano? Chiediamo 'asilo ambientale' altrove, preparandoci a un esodo dalle dimensioni bibliche? Oppure, in un sussulto di vera umanità e di civismo, chiamando a raccolta i migliori esperti in giro per il mondo, ci metteremo a lavorare insieme – cittadini e istituzioni – senza orgoglio e senza imbrogli, facendo ognuno la propria parte per evitare ulteriori danni? Qualcuno ha qualcosa da dire in questa campagna elettorale?
Sì, è come la peste del Seicento. Anzi, peggio.