Il premier Conte studia il da farsi - /ANSA/ EPA/FILIPPO ATTILI / CHIGI PALACE PRESS OFFICE
Il dado è tratto. La crisi più pazza, in piena pandemia, segna una svolta. Con le dimissioni di Conte si pone fine all’ennesimo paradosso delle ultime due settimane: mentre, fino a prima del ritiro della delegazione governativa di Iv, si rifiutava l’idea della crisi sostenendo con forza che "non c’era un giorno da perdere", dal 13 gennaio lo stesso premier Conte ha cominciato per primo a "perdere" giorni nel tentativo (risultato vano) di reclutare nuovi alleati e tenere in vita l’attuale governo. E assieme a lui lo hanno fatto anche gli altri attori della crisi, fra editti vari (della serie «mai più assieme a Renzi») proclamati e repentinamente ritirati, nel classico festival dell’incoerenza della politica nostrana.
Con le dimissioni di Conte, Renzi strappa un punto in una partita che, però, si annuncia ancora lunga, mentre sarebbe interesse del Paese chiuderla in pochi giorni (c'è un quinto "decreto aiuti" da condurre in porto e che ora rischia di bloccarsi, ma gli interessati non possono attendere). E si conferma nel ruolo di primattore dei passaggi politici critici (lo fu già nel 2018 e nel 2019).
I riflettori si spostano ora sugli sviluppi futuri. Che sembrano tre in questa crisi molto tattica, dando per acquisito che Conte non abbia entro venerdì i numeri per un immediato reincarico.
1) La prima ipotesi – forse la più ostica – è la costruzione in pochi giorni di quel nuovo gruppo centrista di "puntello" che finora non è stato possibile (ricordiamo che Bruno Tabacci aveva posto come pre-condizione le dimissioni), grazie al quale si potrebbe anche fare a meno di Italia Viva.
2) C’è poi la possibile costruzione di un nuovo governo, e di una nuova maggioranza, sempre incentrati sulla figura dell’avvocato pugliese, finora difeso a spada tratta non solo dai grillini, ma anche da buona parte del Pd come unico «punto di equilibrio» possibile. L’attuale presidente del Consiglio si presterebbe probabilmente a un Conte III (che lo affiancherebbe addirittura a figure come De Gasperi, Moro, Rumor e Andreotti, gli unici a presiedere tre governi consecutivi), anche se certo non gli sfugge il rischio di poter divenire una sorta di "premier dimezzato" in un nuovo esecutivo che finisse con l’avere una più accentuata connotazione politica. Questa soluzione porta con sé un corollario, però: come evolveranno i rapporti fra Conte e Renzi? Il primo presumibilmente tenderà a sfaldare Italia Viva, portando – se ci riuscirà – dei renziani dalla parte sua per una nuova "avventura", con l’aggiunta di altre componenti ("pezzi" di Forza Italia?) che ancora si faticano a scorgere. Disegno che confligge però con quella «base parlamentare ampia ed europeista» che ieri è stato il ritornello del Pd, interessato piuttosto a una coalizione dove Iv sia sì presente, ma non più determinante. Renzi pare fermo invece (almeno finora) nel voler fare a meno del tutto di Conte.
3) E questo apre un terzo scenario: un premier nuovo, con le incognite che ciò comporta dati i numeri presenti oggi in Parlamento. Si arroccherà ancora M5s nella strenua difesa dell’inquilino di Palazzo Chigi oppure, una volta aperta la partita, nuove soluzioni saranno esplorate? È soprattutto da questo quesito che passa la chiave di soluzione della crisi che non doveva esserci.