martedì 23 aprile 2024
Suo figlio Nino, agente di polizia, fu ucciso 35 anni fa in un agguato mafioso assieme alla moglie Ida, incinta. Il rito funebre officiato dall'arcivescovo
L'arcivescovo di Palermo, Lorefice, davanti alla bara di Vincenzo Agostino

L'arcivescovo di Palermo, Lorefice, davanti alla bara di Vincenzo Agostino

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La barba bianca di Vincenzo Agostino, che avrebbe tagliato - diceva - solo dopo avere avuto giustizia, è celata dal feretro deposto vicino all’altare, nella Cattedrale di Palermo, il giorno dei funerali. Se ne va a 87 anni. Anche i suoi occhi non possono essere visti, se non nelle fotografie della memoria. Erano occhi tersi e azzurri, con un fondale di dolore. Risplendeva, in quello sguardo, la fisionomia di Nino e Ida, il figlio, agente di polizia, e la nuora, trucidati, con il bambino che lei portava in grembo, in un agguato mafioso il 5 agosto 1989. E c’era la cara immagine di Augusta, la moglie scomparsa da qualche anno, che aveva condiviso la battaglia per la verità e per la giustizia, in un contesto denso di ombre.

La Cattedrale si riempie, sono le 11 di un martedì mattina, mentre hanno inizio le esequie, officiate dall’arcivescovo di Palermo, monsignor Corrado Lorefice. Il presule si sofferma accanto alla prima fila, abbraccia le figlie e i nipoti. «Vincenzo Agostino è stato da 35 anni, insieme alla sua amatissima moglie Augusta Schiera, da quel tormentoso 5 agosto 1989, una vedetta, una sentinella, un vegliardo - dice l’arcivescovo, nella sua omelia -. Nonostante il buio della notte, allorché nel suo spirito poteva scendere una schiacciante angoscia, è diventato una fonte di incrollabile speranza per noi tutti, per questa nostra terra martoriata e per l'intero Paese. La sua lunga barba bianca - prosegue - ha rappresentato per noi il segno della resistenza attiva e proficua alla mafia e alle tante forme del “male strutturato” che ardiscono eliminare finanche, come lui stesso ebbe a dire, il “bene di un figlio, di una nuora, di un bambino mai conosciuto”; che sterminano Nino, un onesto e accorto servitore dello Stato, la sua giovane moglie Ida e il bambino che avevano concepito da pochi mesi; insanguina le strade della città, sparge afflizione nelle case e nelle famiglie, pianifica depistaggi, compra silenzi e connivenze anche tra esponenti del potere politico e delle istituzioni dello Stato. È finita la fatica di Vincenzo. Ora ci è chiesto di assumerla di portarla avanti noi. Il testimone passa a noi».

Poi, tocca a Nino Morana, amatissimo nipote, che ricorda il nonno: «Oggi non è soltanto dolore e perdita, oggi è rabbia, oggi è una sconfitta doverti seppellire con la barba e i capelli lunghi ed è un'agonia sapere che non ho mai visto il tuo volto in seguito al giuramento che facesti 35 anni fa. Oggi è una sconfitta per lo Stato italiano perché dovrà seppellire l'ultimo monumento vivente dell'antimafia, senza nemmeno avergli permesso di ottenere la tanta agognata verità e giustizia». Un pensiero arriva da don Maurizio Francoforte, parroco del quartiere Brancaccio di Palermo, successore del beato Pino Puglisi: «Grazie Vicè, ci hai insegnato a non farci schiacciare dal potere». Dopo la benedizione, Vincenzo Agostino, grande come una montagna, tenero come un padre, con il volto adornato di una siepe candida mai tagliata, si congeda dal suo cammino terreno. Palermo lo applaude e lo abbraccia, nell’ultimo viaggio. Così saluta un uomo che ha combattuto la battaglia di tutti.

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