sabato 16 marzo 2024
Marco Bussagli estende lo studio sul “mesiodens”, l’incisivo del Buonarroti, rintracciando le origini e il significato di una malformazione fisica che diventò simbolo di peccato e corruzione
Il “San Sebastiano” di Silvestro dell’Aquila: particolare del “terzo dente”

Il “San Sebastiano” di Silvestro dell’Aquila: particolare del “terzo dente” - WikiCommons

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Nel 2014 lo storico dell’arte Marco Bussagli pubblicò con Medusa un libro a dir poco sorprendente. Si intitolava I denti di Michelangelo. Sembra uno scherzo ma era invece una cosa molto seria. Guardando il Giudizio della Sistina non si può non notare che i diavolacci nelle loro grotte esibiscono un dentone al centro proprio della bocca. Siccome questi esseri sono stati raffigurati in maniera intenzionalmente brutta, non desta stupore questa bizzarria. Ma l’autore continuò a guardare le immagini della Cappella Sistina e notò che anche figure bellissime come le Sibille mostrano questo dente incisivo in mezzo ai quattro normali. Riassumendo, lo vede nei personaggi lontani dalla grazia di Dio, come un segno di bruttezza morale (talvolta incolpevole) raffigurata attraverso questa bruttezza fisica.

All’odontoiatria è nota la presenza in alcune persone di una anomalia anatomica consistente in qualche dente in più rispetto ai trentadue normali. Si chiamano “denti soprannumerari” e tra queste esiste anche il dentone oggetto di questo studio, detto mesiodens. A Bussagli venne a quel punto una curiosità infrenabile e comprensibile: se è così, Cristo non dovrebbe avere il mesiodens per nulla al mondo. E andò a guardare la bocca semiaperta di Gesù nella Pietà Vaticana. Sorpresa! C’era il mesiodens! Tutta la teoria crollava di colpo, e poi Michelangelo, così attento all’anatomia, come aveva potuto farsi sfuggire una cosa del genere? Ma... e se l’avesse fatto apposta? Da uomo colto, Bussagli conosce bene il Nuovo Testamento e non tardò a imbattersi nella tremenda frase di san Paolo: «Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio» (2Cor 5:21). Isaia, aggiungo io, al capitolo 53: «Egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori; e noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato. Egli è stato trafitto per le nostre colpe, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti». Cristo si assume i nostri peccati e li può redimere perché li ha fatti propri. Ecco la ragione del dente. Ed ecco la profonda sapienza di Michelangelo.

L’autore non tardò a domandarsi se era una trovata di Michelangelo o si poteva vedere in altri autori, pure di altre epoche. E allora intraprese una delle ricerche più pazzesche che io conosca. Naturalmente non poteva girare tutte le chiese e i musei del mondo a guardare in bocca i soggetti. Ma immaginiamo che potesse disporre di una sorta di enciclopedia dove ci fossero le fotografie di tutte le opere d’arte conosciute. Ed egli, paziente, la sfogliò pagina per pagina. Solo che un’opera del genere non esiste. Immaginarsi quindi il lavoro. I risultati sono raccolti nel densissimo libro Il male in bocca. La lunga storia di un’iconografia dimenticata (Medusa, pagine 376, euro 35,00). Il mesiodens si trova costantemente dalle prime sculture greche fino agli ultimi secoli, sempre come segno di malvagità o d’imperfezione. È impressionante la mole di esempi che Bussagli riporta, al punto che forse è più un libro di consultazione che di lettura. Le Gorgone, il Marsia Rosso, i ciclopi, i centauri, tutti hanno il dente superfluo. Anche nei capitelli medievali abbonda. E poi tanti altri artisti più recenti, non solo il Buonarroti. Ora, tutta l’estetica occidentale sul corpo umano deriva dalla kalokagathia greca e in particolare la simmetria è dogma. Non c’è alcuna possibilità che queste anomalie siano nate casualmente. La cosa più sorprendente è che nessuno degli storici dell’arte, quindi dall’Ottocento in qua, lo abbia mai notato. Nell’ambito dell’iconografia, Marco Bussagli si è guadagnato un riconoscimento storico.

Di Cristo abbiamo già detto. Non è stato solo Michelangelo a inserire il mesiodens nella bocca del Redentore, ma tanti altri, anche artisti pressoché sconosciuti, come Romualdo da Candeli nel 1471 e Giovanni Teutonico nel 1470-1480. E via di seguito. Interessante è che il dente compaia anche nelle figure di alcuni santi. L’unica spiegazione possibile è che alluda alla loro identificazione con Cristo, al fatto che, uniti a lui, siano stati in qualche modo con lui “corredentori”.

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