Il centro storico di Parma, capitale italiana della cultura 2020 - Ansa
«Il tempo? Se non me lo chiedi so cos’è. Ma se me lo chiedi non lo so più», diceva Agostino d’Ippona, il vescovo e filosofo vissuto tra il IV e V secolo. Ancora oggi giriamo attorno a questo interrogativo nonostante sia una dimensione con la quale noi tutti conviviamo ogni momento e che tutti pensiamo di sapere cosa sia. Con cui da sempre si misura la filosofia e la fisica perché il tempo ha un ruolo centrale sia nella descrizione del mondo esterno sia nella nostra esperienza cosciente. Tuttavia, nonostante il tempo fisico e quello mentale abbiano caratteristiche diverse, in particolare per ciò che riguarda il presente, la sua estensione temporale e il suo presunto scorrere, l’immagine del tempo prevalente nel senso comune (che dipende dalla Fisica di Aristotele, ma è confermata anche dai Principia di Newton) è costituita da una retta infinita. Su di essa si crede che scorra, a velocità costante, un punto indivisibile, il presente, che avanza separando in maniera irreversibile il passato, che gli resta alle spalle, dal futuro, verso cui inesorabilmente si dirige. Si tratta, senza dubbio, di un’idea esemplarmente semplice ed efficace, di cui ci serviamo continuamente e da cui è difficile staccarci perché corrisponde perfettamente alle esigenze della vita quotidiana e a quelle della maggior parte delle pratiche e dei sistemi di misurazione. Ce ne serviamo a tal punto da manipolarne la percezione a nostro piacimento.
Parla di questo la mostra “Time Machine. Vedere e sperimentare il tempo”, ideata da Michele Guerra e curata da Antonio Somaini con Eline Grignard e Marie Rebecchi, come uno degli eventi inaugurali del programma di Parma Capitale italiana della cultura 2020. La mostra indaga su come il cinema e altri media fondati sulle immagini in movimento hanno trasformato la nostra percezione del tempo attraverso una serie di manipolazioni temporali: dall’accelerazione al ralenti; dal fermo immagine al time-lapse; dalla proiezione a ritroso al loop; alle sovrimpressioni e allo stopmotion, fino alle infinite soluzioni offerte dal montaggio che permette scomposizioni, ricomposizioni, raccordi tra immagini. Tutto ciò, detto per inciso, è reso perfettamente funzionale al progetto della mostra dall’opera scelta per chiudere il percorso espositivo. Parliamo di The Clock (2010, Leone d’Oro alla Biennale del 2011) di Christian Marclay, opera monumentale, sia per durata (24 ore) che per la quantità di lavoro necessaria per assemblarla (3 anni e una squadra di 6 persone). È un video che monta insieme circa 12mila spezzoni di film che contengono riferimenti al tempo che passa: riprese di orologi, sveglie e lancette di ogni epoca. Ogni volta che sullo schermo compare il riferimento a un determinato momento della giorna- ta, l’ora coincide precisamente con quella del fuso in cui il film viene proiettato.
L’opera insomma si trasforma essa stessa in un gigantesco congegno per misurare il tempo, oltre a offrire una singolare panoramica attraverso la storia dei generi cinematografici che copre quasi un secolo. Che è, più o meno, il periodo preso in considerazione dalla mostra che prende avvio da due eventi risalenti al 1895: la pubblicazione di The Time Machine: An Invention di H.G. Wells, primo testo letterario in cui il movimento del tempo è reso possibile da uno strumento tecnico, e la prima presentazione pubblica del Cinématographe dei Fratelli Lumière. A partire da questa coincidenza cronologica, la mostra si articola nelle 25 sale del Palazzo del Governatore, attraverso 11 sezioni iconografiche, per dare luogo a un tragitto immersivo fatto di immagini, proiezioni, ed estratti filmici provenienti dal cinema delle origini e dal cinema sperimentale, dal cinema classico e da quello contemporaneo, dal cinema scientifico e da quello documen-tario, dalle videoinstallazioni e da alcuni momenti scelti della storia della fotografia. Si è cioè all’interno di un universo caleidoscopico e frammentato. Perché quando tutto diventa immagine, le narrazioni lineari vanno in crisi e allora è piacevole lasciarsi condurre in un percorso emozionale che cambia di volta in volta, in quanto l’attenzione è sempre sull’attimo, sull’elemento transitorio, su qualcosa che si allontana e svanisce, ma non può non lasciare una qualche traccia del suo passaggio.
Così è come se venisse infranto lo statuto bidimensionale dell’immagine per tendere verso un più reale coinvolgimento dello spettatore, più diretto e meno distaccato, che viene accolto da un maxi schermo su cui scorrono le immagini di tre celebri film, quali 2001: Odissea nello spazio (Stanley Kubrick, 1968), Time After Time (Nicholas Meyer, 1979. Il titolo italiano perde il riferimento al tempo: L’uomo venuto dall’impossibile), Interstellar (Christopher Nolan, 2014), scelti per testimoniare, grazie a un livello eccezionale di abilità tecnica e di sperimentazione ottica, l’esperienza del viaggio nel tempo. Quel viaggio che è iniziato tra gli anni Settanta e Novanta dell’Ottocento nel corso dei quali sono stati inventati quegli strumenti (dalle lanterne magiche al fonografo, dal grammofono al Kinetoscope e al Kinetograph) che all’epoca hanno introdotto nuovi modi di manipolare il tempo, per approdare alle più recenti temporalità non umane delle immagini in movimento (su questo argomento si sofferma compiutamente il prezioso catalogo Skira) prodotte da tecnologie digitali basate su intelligenza artificiale, machine learning, rete neurale artificiale.
L’esposizione mette in luce le diverse maniere con cui artisti, filmaker e fotografi (da Tacita Dean a Ange Leccia, da Harun Farocki a Malena Szlam, da Robert Smithson a Grégory Chatonsky) si sono cimentati con la “malleabilità” del tempo esponendo le loro opere più rappresentative. È il caso del celebre 24 hours Psycho in cui Douglas Gordon rallenta il capolavoro di Hitchcock fino a farlo durare un’intera giornata, oppure l’altrettanto famosa Histoire(s) du cinéma, ormai introvabile nella sua edizione integrale, di Jean-Luc Godard. E mentre Rosa Barba crea nuovi territori con una tecnologia apparentemente datata costituita da un ingombrante meccanismo ( Stage Archive) che domina l’ambiente con il calore delle lampade, il rumore del motore e della frizione della celluloide sulle bobine, David Claerbout riflette sul rapporto tra il tempo della rappresentazione e quello dell’esperienza diretta con un’opera ( The Algiers Section of a Happy Moment) che riesce a coniugare rigore concettuale e poesia.
L'AGENDA
Un anno di appuntamenti
Tra le centinaia di eventi (spettacoli, incontri, open call) previsti dal programma ufficiale e da enti, organizzazioni, musei e gallerie, messi in cantiere per Parma Capitale italiana della Cultura 2020 e distribuiti in luoghi storici e nuovi distretti non solo in città, ma anche in buona parte del territorio emiliano, le mostre d’arte occupano un posto di primo piano. Eccone una selezione. Hospitale. Il futuro della memoria (24 aprile - 10 ottobre), alla Crociera dell’Ospedale Vecchio di Parma, è incentrata su una grande installazione di Studio Azzurro che narra la storia dell’Istituto attivo dal ’400 fino agli inizi del ’900 e oggetto dal 2018 di un intervento di rigenerazione urbana. Labirinti (18 aprile - 27 settembre) al Labirinto della Masone a Fontanellato, è una mostra che trasforma Encyclomedia di Umberto Eco in opera viva con l’intento di ricreare la suggestione delle epoche viste come grande mosaico, dando il senso delle distanze storiche, delle dinamiche sociali, culturali e comportamentali della vita quotidiana. La Fondazione Magnani Rocca di Mamiano di Traversetolo ospita L’ultimo romantico. Luigi Magnani, il signore della Villa dei Capolavori (14 marzo - 12 luglio) che rende omaggio alle passioni del raffinatissimo musicologo e collezionista con una mostra in cui si intrecciano musica e pittura, scultura, disegno e incisioni in un dialogo che invita ad approfondire i sottili e segreti rapporti tra le varie espressioni artistiche. A Palazzo Pigorini a Parma è in programma la mostra Franco Maria Ricci. I segni dell’uomo (4 aprile - 18 agosto) che è dedicata alla storia editoriale, grafica e personale di uno degli interpreti più raffinati dello stile e della cultura italiana con una raccolta di libri e progetti che vanno dagli anni Sessanta ai nostri giorni. Con I Mesi e le Stagioni (maggio novembre), al Battistero di Parma, si realizza il progetto che permette al pubblico di avvicinarsi come mai prima d’ora alle opere di Benedetto Antelami grazie alla discesa a terra delle sue statue collocate nel loggiato interno del Battistero. Alla Pilotta è prevista la mostra I Farnese. Architettura in Pilotta (30 ottobre - 31 gennaio 2021) che indaga la committenza artistica della celebra casata che colse la potenza delle arti come affermazione dinastica e creazione di una identità signorile tra Rinascimento e Barocco. Particolarmente attesa è la personale di Anish Kapoor (sede e date da definire), uno dei più grandi artisti viventi, la cui sculture, enigmatiche e affascinanti, si caratterizzano per il gioco tra pieno e vuoto, concavo e convesso, interno ed esterno. (Giancarlo Papi)