venerdì 19 aprile 2024
La sportiva protagonista al Pordenone Docs Fest del documentario "Copa 71" sulla storia dimenticata del primo Mondiale di calcio femminile in Messico. In sala dal 13 maggio.
Un'immagine di "Copa 71": Elena Schiavo durante la partita Italia-Messico dei Mondiali di calcio femminile del 1971

Un'immagine di "Copa 71": Elena Schiavo durante la partita Italia-Messico dei Mondiali di calcio femminile del 1971 - HEMEROTECA

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«Le messicane ancora si ricordano di me: muy fuerte, muy ràpida, muy cattiva…”. Ci sorride sorniona Elena Schiavo da Udine, 75 anni portati con energia, che nel 1971 ha indossato la fascia di capitano della Nazionale italiana nel primo Mondiale di calcio femminile della storia, anche se non è ancora ufficialmente riconosciuto dalla Fifa ed è stato dimenticato. Una avventura passata sotto silenzio dal sistema prettamente maschile che governava e governa tuttora il calcio. La competizione andò in scena nel 1971, appunto, in Messico in ben due stadi: l’Azteca (110 mila spettatori) e lo Jalisco di Guadalajara (enorme pure quello), col coinvolgimento di migliaia e migliaia di persone e con sponsor, televisioni e stampa impazziti dall’entusiasmo.

E pensare che a casa loro Elena e le altre erano considerate poco più che un fenomeno di colore, pioniere che hanno aperto le porte alle calciatrici di oggi, fra pregiudizi ed enormi sacrifici personali. Le loro voci appaiono nell’entusiasmante documentario Copa 71 presentato in anteprima italiana al Pordenone Docs Fest dopo avere debuttato al Festival di Toronto. Firmato da James Erskine e Rachel Ramsay, prodotto da Serena e Venus Williams, il documentario che presenta rare e coloratissime immagini d’epoca insieme al racconto delle protagoniste, arriva nelle sale italiane. La rivista sportiva Ultimo Uomo grazie a CineAgenzia e in collaborazione con Fandango lancia nelle sale cinematografiche dal13 maggio a metà giugno, fino alla vigilia di Euro 2024 in Germania, la prima edizione di “In Campo”, una rassegna di tre documentari sul calcio, tra i migliori dell’ultima stagione di festival internazionali.

Abbiamo incontrato la storica capitano della Nazionale a Pordenone, dove il pubblico l’ha applaudita con calore alla fine della proiezione di un doc che ci fa rivivere come fosse in diretta la sfida tra le nazionali femminili di Inghilterra, Argentina, Messico, Francia, Danimarca e Italia. All’epoca Elena Schiavo era considerata la migliore calciatrice del mondo, ed ha indossato le maglie di diverse squadre, fra cui ACF Roma, Real Torino, Astro Corsetterie, Falchi Astro, Valdobbiadene, Padova, Bologna e Gorgonzola, vincendo quattro scudetti e due Coppe Italia. «C’erano delle giocatrici diecimila volte più brave di me – si schermisce Elena -. Io ero solo di un’altra tempra e fisicamente ero la più forte perché avevo praticato per 7 o 8 anni l’atletica ad alto livello, uno sport umile e di sofferenza. Quindi nel calcio avevo un tiro da 30-40 metri , non avevo paura di nessuno, entravo in contrasto, ti rincorrevo». Ma negli anni ’60 giocare a calcio per una donna era un tabù. “Sono nata giocando a calcio – aggiunge -. Vivevo a Colloreto di Prato alla periferia di Udine. Da piccola correvo anche io scalza dietro a mio fratello e al pallone e i maschi mi davano i calci e mi gridavano “vai a casa, vai a casa”. Ma io ero sempre in mezzo a loro. Tornavo a casa sempre rotta, tutta ferita, mia madre non voleva che giocassi. Quando da adolescente ho cominciato ad allenarmi di nascosto al campo di calcio di Passons, mia zia correva a farle la spia».

Quando Elena con le sue “Indomite” di Turriaco segna un gol alle celebri “Furie Rosse” di Cormons nel 1963 è la svolta. «Venni ingaggiata da loro, ho passato anni meravigliosi, di bella gioventù: allora c’era cameratismo, affetto e rispetto anche se si perdeva si cantava e si rideva». Lei è stata anche la prima calciatrice a potersi definire in qualche modo professionista riuscendo a farsi stipendiare dal Real Torino. «Lo sport non ti dava niente, neanche l’assicurazione: sai quante calciatrici si sono fatte male in quegli anni e hanno perso il posto di lavoro? In fabbrica in quegli anni chi ti teneva a lavorare? Lo facevi solo per passione – ci racconta -. Io lavoravo a Udine in una ditta che faceva ilettini per bambini. Nel 1969 mi aveva cercata il Real Torino. Gli dissi: sentite, io devo lasciare Udine dove ho il lavoro, l’atletica, la mia famiglia, le mie amicizie, i miei amori. Se vengo lì come mi mantengo? Abbiamo firmato un contratto dal notaio: loro mi davano un appartamento e mi stipendiavano. Io sono stata un’apripista, ho fatto capire alle ragazze che potevano avere un futuro. Comunque trasferirmi non è stato facile, immagina passare da un paese di campagna a un città come Torino dove il rumore delle rotaie del tram non mi faceva dormire tutta la notte»

Anche la carriera di Elena Schiavo si chiude per infortuni a fine anni 70. «Mi ha tarpato le ali l’incidente che ho avuto nel 1974, mi sono rotta le ginocchia giocando contro la Scozia a San Siro. Ho subito nella vita 13 operazioni, ho due protesi. So che vuol dire la sofferenza, e gli interventi li ho fatti tutti a mie spese perché non eravamo né tesserate né assicurate». La seconda vita di Elena è stata al Comune di Udine come ufficiale di stato civile: «Ho tanto amato lo sport quanto questo mestiere in mezzo alla gente. Nascite, morti, matrimoni, era la vita che ti passava davanti. Sono stata fortunata. Dall’atleta irruenta che ero sono diventata una brava impiegata».

L'ex capitano della Nazionale di calcio Femminile Elena Schiavo al Pordenone Docs Fest

L'ex capitano della Nazionale di calcio Femminile Elena Schiavo al Pordenone Docs Fest - Foto di Elisa Caldana

Il ricordo più indelebile resta, comunque quel Mondiale del ‘71, nato dopo un primo torneo femminile in Italia, “Trofeo Martini & Rossi” del 1970. «Ringrazio ancora certi imprenditori che hanno creduto nel calcio femminile, perché altrimenti nessuno ci avrebbe riconosciuto» aggiunge la Schiavo. I dirigenti messicani, reduci dai Mondiali del ‘70 che avevano lasciato grandi stadi nuovissimi e vuoti, ebbero l’intuizione di lanciare in grande stile il Mondiale femminile nel 1971 per motivi commerciali e ne nacque un fenomeno oltre le aspettative.

«È stato incredibile, le città messicane erano in fermento per questo Mondiale, la gente per strada cercava di comprare i biglietti e le maglie delle giocatrici – ricorda -. In semifinale abbiamo giocato con le ragazze di casa. Quando siamo entrate all’Atzeca e abbiamo visto centomila persone sugli spalti ci sono tremate le gambe, non ce lo aspettavamo» La partita però si fece durissima, all’Italia vennero annullati in modo dubbio ben due gol fra cui una sventola da 40 metri della Schiavo e in campo si scatenò la rissa come mostra il doc Copa 71. «Ce le siamo date di santa ragione - ridacchia l’ex calciatrice – ma avevamo vent’anni. Oggi ci comporteremmo diversamente». Finisce 2 a 1 per il Messico con 10 minuti di anticipo. Vincerà i Mondiali la Danimarca, 3 a 0 sul Messico.

«La cosa che mi ha fatto rimanere più male è che quando siamo tornate in Italia dopo il Mondiale nessuno ci ha più considerate, come se dall’oggi al domani il calcio femminile avesse smesso di esistere» racconta Elena. Quanti pregiudizi avete dovuto affrontare? «A me non importava nulla, già solo per il fatto di essere una donna nello sport ne sentivo di tutti i colori, tutti i giorni. Noi però non ci lasciavamo scalfire altrimenti avremmo smesso molto presto di giocare». Oggi che il calcio femminile ha una Serie A cosa è cambiato? «Eravamo una palla al piede della Federazion, e anche adesso le donne sono poco valorizzate. Certo, fanno vedere la Serie A, esiste il tetto e non la base. Ci sono moltissime ragazzine che giocano a calcio, ma se mancano i campionati regionali poi si perdono. Però è la società di tutti i giorni che è così, c’è disparità».

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