La Maison Carrée, a Nîmes, tempio costruito tra il 19 e il 16 a.C. da Marco Vipsanio Agrippa - (CC-by-4.0)
Cosa s’intende per ambiente antropico? Detto anche "paesaggio antropico", è quella porzione di mondo, come la definiscono i geografi moderni, nella quale l’azione dell’uomo si è fatta particolarmente evidente ed incisiva sulla natura, al punto da modificarla in tutto o in parte.
Qual è il luogo nel quale questa presenza e le relative modifiche si fanno più serrate e concentrate? La città, senza ombra di dubbio! Ossia il luogo nel quale gli uomini si riuniscono insieme per soddisfare tutte le loro esigenze. Si tratta, infatti, di un luogo specializzato che piega la natura alle necessità umane. Serve acqua? Non è necessario cercarla: gli acquedotti la porteranno da noi! Serve cibo? Potremmo trovarlo al mercato! Ci dobbiamo riposare? Ci sono le case accoglienti! Ci si vuole incontrare per parlare? C’è l’agorà! La piazza quadrata dove si svolge la vita sociale per soddisfare quella definizione di Aristotele che considera l’uomo lo zòon politikòn che non vuol dire "animale politico" ma "animale della città". Allora la città può essere definita la prima protesi umana in quanto supporto e sostegno alle esigenze pratiche, religiose, psicologiche, estetiche, storiche, sociali ed economiche dei suoi abitanti.
Adesso, a questa costellazione di problematiche storiche, sociali, architettoniche e, in sintesi, "civili", è dedicata una mostra bella e coraggiosa che si è aperta in questi giorni a Roma, ai Mercati di Traiano. Intitolata Civis, Civitas, Civiltas sfoggia un sottotitolo che spiega meglio: "Roma antica modello di città" (fino al 6 settembre). Come dire che Roma antica è la radice stessa della civiltà.
C’è, infatti, un bello e significativo passo del De officiis (I, 53) di Cicerone che apre il percorso didattico della mostra nel quale si dice che il rapporto che si crea fra gli edifici della città e i cittadini è addirittura più potente di quello che esiste fra genti della stessa etnia e della medesima appartenenza. Più potente di questo c’è solo il vincolo familiare. Il che, però, significa che l’appartenenza alla civitas (cosa ben diversa dall’urbs, la parola con cui i Romani indicavano gli edifici della città) è la radice stessa del concetto di civilitas. Far parte del contesto "civile" significa contribuire a costruire la "civiltà".
Per questo, Claudio Parise Presicce, insigne archeologo e curatore di questo straordinario percorso espositivo (insieme a Claudia Cecamore), nonché direttore dei Musei archeologici e storicoartistici del Comune di Roma, ha voluto porre l’accento su un tema così importante. Un impegno meritorio che dovrebbe rammentare a tutti noi quali sono le nostre radici e cosa significhi essere "cittadino". Quando si poteva affermare civis romanus sum ("sono un cittadino romano"), ci si riferiva a un modo di pensare, di agire e di considerare i rapporti interpersonali regolati da leggi scritte, che erano la forma più avanzata di "civiltà".
Non è allora un caso che i fautori della Rivoluzione Francese avessero adottato il termine citoyen per dire che dal più ricco al più povero, dal più potente al più vulnerabile, tutti erano "pari" (si badi bene, non "uguali"), con stessa dignità, perché i membri di quella cité (che non è la ville, ma il quartiere dove si vive) ideale costruita sui valori di Liberté, Egalité, Fraternité.
Dietro tutto questo, però, c’era l’idea del civis romanus. Come ha fatto Roma a radicare e diffondere questa coscienza "civilis" in maniera così profonda? È quel che spiega la mostra: replicando Roma nel bacino del Mediterraneo e in tutta Europa. Così, possiamo affermare che, nelle varie province dell’impero (usando per semplificare le denominazioni moderne), ossia dalla Spagna all’Inghilterra, dalla Francia alla Tunisia, dalla Turchia alla Libia e alla Germania, le città replicavano il modello di Roma, con le terme, il teatro, il foro, i templi, gli archi e perfino la Curia, dove a Roma si riuniva il Senato, mentre in provincia i notabili cittadini.
Prodotta da Zetema e corredata da un’agile guida edita da De Luca editori, la mostra è un affascinante viaggio fra modelli e plastici ricostruttivi (quasi tutti di Italo Gismondi), non di rado affiancati da filmati didattici che illustrano, per esempio, il foro di Augusto, o quello di Cesare. In più, c’è la possibilità di confronti diretti con gli strabilianti reperti archeologici esposti in mostra, parte della collezione permanente, come i giganteschi frammenti decorativi del Foro di Augusto, o quelli di un enorme labrum (vasca circolare), in porfido, rivenuto presso il Tempio della Pace.
Nel percorso espositivo, si succedono varie tipologie architettoniche come quella degli spazi pubblici ben rappresentata, oltre che dal plastico dei Fori di Roma, da quello di Pompei e da quello di Veleia nel piacentino a dimostrazione della diffusione italica della tipologia. I confini di esportazione, però, non sono certo solo quelli della penisola e, allora, ci s’imbatte in Leptis Magna, oppure nel Cesareum di Cirene (in Libia) e, poi, se si pensa ai templi, con la diffusione delle forme del Capitolium, caratterizzato dalle tre celle per la “trimurti” romana (Giove, Giunone, Minerva), riproposte, per esempio a Brescia.
Un altro connotato della civitas sono le terme, un luogo dove lavarsi, purificarsi, incontrarsi, fare sport. Allora i plastici riproducono quelle inglesi di Bath (nel Somerset) che ancora oggi mantiene questa caratteristica. Ci sono poi quelle di Side in Anatolia (Turchia), a dimostrazione di un progetto universale di civilitas che fa capo a Roma. Si potrebbe poi continuare con i teatri, come a Dougga in Numidia (nord-Africa), oppure con gli archi di trionfo, esposti al piano superiore del percorso o, ancora, con le fontane, come la celeberrima Meta sudans che una volta sorgeva accanto al Colosseo. Sono questi i segni di "civiltà" che, però, qui si amplificano per metonimia, in quanto, parlandone nel Foro di Roma, il contenitore e il contenuto finiscono per coincidere.