mercoledì 10 aprile 2013
​Lo scienzato britannico, Nobel per la medicina nel 2010, è morto all'età di 87 anni. Sostenitore della diagnosi preimpianto, si legò alle società eugenetiche mondiali.
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È morto all'età di 87 anni lo scienziato britannico Robert Edwards, vincitore del Nobel per la medicina nel 2010 per i suoi studi sulla fecondazione “in vitro”. Edwards era malato da tempo, ha precisato l'Università di Cambridge nel dare notizia del decesso.Edwards era laureato in Biologia, con una specializzazione in Zoologia, alla Bangor University, in Galles. Poi ha continuato i suoi studi presso l'Istituto di Embriologia animale della facoltà di Scienze Biologiche dell'Università di Edimburgo, dove conseguì il Ph.D nel 1955. 

Quello che fino ad allora veniva studiato per la fecondazione animale, Edwards riuscì infine a "trasportarla" nell'uomo. Nel 1968 infatti mise a punto insieme al collega Steptoe, morto 24 anni fa, la tecnica di fecondazione in provetta “Fivet” che da allora ha portato alla nascita di più di 4 milioni di bambini da coppie con problemi di fertilità. Per la prima volta rese possibile fecondare un ovulo umano al di fuori del corpo di una donna, unendolo a uno spermatozoo in provetta. La procedura ebbe successo il 25 luglio del 1978, quando nacque la prima bimba “figlia” della provetta, Louise.Nel 1965 Edwards entrò a far parte della "Società eugenetica inglese" (dal 1989 "Istituto Galton"), fondata da Francis Galton nel 1907, la cui attività sta alla base del movimento eugenetico mondiale, dove ricoprì ruoli dirigenziali. Le sue teorie di grande supporter della diagnosi preimpianto sono in linea con l'eugenetica più spinta. "Quando la gente dice che la Dgp è costosa, dico sempre: qual è il prezzo di un bambino disabile che nasce? Qual è il costo che ognuno deve sopportare? È un prezzo terribile per tutti, e il costo economico è immenso. Per una Dgp, a confronto, servono davvero pochi soldi", dichiarò di fronte al Parlamento inglese illustrando il suo pensiero sulla diffusione della diagnosi preimpianto. Sottinteso era che la vita di un bambino disabile non era degna di essere vissuta e dunque meglio monitorare prima un eventuale difetto genetico con la diagnosi genetica, a scopo ovviamente abortivo. Senza contare l'enorme numero di embrioni scartati e gettati perché non fnalizzati per vari motivi all'impianto.

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