venerdì 11 aprile 2014
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È morta nel 2010 ma, come accade spesso in questi casi, la notizia è stata confermata ufficialmente tempo dopo, precisamente lo scorso luglio, dalla rivista medica Journal of Obstetric and Gynaecology. È la ventisettesima donna morta dopo aver abortito con la kill pill, la pillola Ru486. È la sesta in Gran Bretagna, undicesima per infezione da Clostridium (stavolta si tratta del Clostridium Septicum). Delle altre, per nove è stato letale il Clostridum Sordellii, per una il Perfringes. Sempre per sepsi, ma da streptococco, una dodicesima. Ricordiamo che in un primo momento queste morti erano attribuite a una somministrazione inappropriata – per via vaginale – del secondo farmaco abortivo, che si assume 48 ore dopo la Ru486. Ma la morte per infezione di una giovane donna che lo aveva assunto per bocca ha smentito anche questa ipotesi. Volendo individuare i Paesi coinvolti abbiamo: 14 donne morte negli Stati Uniti, una in Canada, una in Portogallo, sei in Gran Bretagna, due in Francia, una in Svezia, una a Taiwan, una in Australia. La lugubre lista si allunga nell'indifferenza generale, e andrebbe completata con altre dodici persone, decedute dopo aver utilizzato lo stesso prodotto per scopi non abortivi (ci sono anche uomini), dopo somministrazioni al di fuori di protocolli autorizzati (il cosiddetto uso compassionevole). In totale i decessi segnalati dopo somministrazione della Ru486 sono quindi 39. Il file degli eventi avversi nel sito della Food and Drug Administration (Fda), l'agenzia federale americana di farmacovigilanza, è fermo alle segnalazioni di più di due anni fa. Per la precisione al 30 aprile 2011. In questo report le morti accertate e documentate erano 19, e riguardavano solamente i decessi a seguito di aborto. Considerando i 14 casi americani, a fronte di circa 1.500.000 di aborti eseguiti con questo metodo, appare confermato il dato già pubblicato anni fa dal New England Journal of Medicine: la mortalità per aborto medico continua a essere circa 1:100.000, cioè dieci volte superiore a quella con il metodo chirurgico (0.1:100.000) per aborti effettuati nello stesso periodo di gestazione. Gli altri casi non segnalati dalla Fda, di cui si è detto sopra, sono stati ricavati da pubblicazioni scientifiche e da un dossier trasmesso dalla Exelgyn – la casa farmaceutica che produce la pillola abortiva – al Ministero della Salute, di cui chi scrive ha dato conto nel corso di un'audizione alla Commissione Igiene e Sanità del Senato il 17 novembre 2009. Dati difficili da reperire, insomma, e spesso disponibili molto tempo dopo i fatti avvenuti: le donne morte per aborto salgono agli onori della cronaca solamente quando si tratta di interventi effettuati in clandestinità. Per un'amara ironia della sorte le morti legali non interessano nessuno, al massimo sono rubricate come "inevitabili incidenti", ridotte a percentuali di fatali e ineluttabili eventi avversi.
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