Caro direttore, il genere umano non finisce di sorprendere. Nonostante la provata dannosità della droga e le sue nefaste conseguenze per la società in generale e per la solidità morale delle persone, viene ripescata la "legalizzazione" di queste sostanze. Questo perché due Stati Usa avrebbero legalizzato i "coffee shop" (dizione politicamente corretta per "dispensatori di morte"). Val la pena di notare che dove questo era già avvenuto, si sta correndo ai ripari con restrizioni motivate da statistiche non molto pubblicizzate seppur accessibili. Le conseguenze appaiono catastrofiche. Tra l’altro, come "Avvenire" ha ben sottolineato, giustificare la marijuana in quanto "droga leggera" va contro la maggioranza degli studi che mettono tutte le sostanze che provocano assuefazione (e appannamento dei sensi), sullo stesso piano. Se poi è lo Stato che si arrende alla mala e crea una generazione di "intavanati", parallelamente al ritorno fiscale per l’erario (pecunia non olet, pare), la questione è sconvolgente. Oltretutto molti media strizzano l’occhio pensando che bisogna mettere i pro e i contro sullo stesso piano. Questo è uno dei casi in cui il pareggio corrisponde a una partita persa: il passaggio ad altre droghe diventerà la norma. Rimediare al danno inevitabile, sarà un processo lungo e penoso. A proposito, a quando i controlli periodici antidroga in Italia su tutti gli operatori di mezzi pubblici o che svolgono servizi in pubblico? Ce li siamo persi per la strada, concesso (speriamo no) che questa robaccia venga legalizzata? Personalmente non vedo di buon occhio un chirurgo o un pilota d’aereo che ne fanno uso anche solo una volta (non voglio pensare spesso).Aurelio Cereti, Forlì
Gentile direttore,non capisco proprio questa voglia accelerare verso la "liberalizzazione" delle droghe cosiddette "leggere", che emerge soprattutto da certi personaggi politici passati dalla "liberazione" della lotta di classe alla "liberazione" della cannabis (con il suo principio attivo sempre più potente). Politici che non si mostrano per niente preoccupati di contrastare trafficanti e spacciatori con leggi severe. Liberalizzando alcune droghe, di sicuro i trafficanti non rimarrebbero senza lavoro in quanto con le tecnologie sempre più sviluppate anche nel campo della chimica troverebbero il modo di fare concorrenza allo Stato. Di questo passo dove arriveremo? Forse ai supermercati, per "migliorare" la distribuzione. Ma come si fa a ragionare in questo modo? Forse si ha un concetto sbagliato della società. La nostra società non può diventare un grande "dopo discoteca" e deve puntare a migliorarsi con l’aiuto di nuove generazioni libere da ogni schiavitù. La distribuzione di massa delle droghe serve solo per non affrontare i problemi reali del Paese.Michel Giuntini
Gentile direttore,sono un semplice cristiano e vedo un pericolo reale per la società italiana e per tutti i cittadini, quello di arrivare realmente a vendere in qualsiasi esercizio commerciale, le cosiddette "droghe leggere". Tremo per i nostri figli, per i nostri bambini. E non penso di essere un allarmista sociale... Secondo me bisogna organizzare qualche forma di mobilitazione reale ed incisiva: in Uruguay, pur con il 60% di opinione pubblica contraria, il governo ha varato di forza una legge che consente di vendere la marijuana legalmente.Giorgio Bendazzoli, VeronaIn ognuna delle vostre preoccupazioni e riflessioni, cari e gentili amici, trovo un po’ di sana e convincente “resistenza umana” al pressing economico, mediatico e politico teso a propiziare la liberalizzazione di alcune droghe stolidamente definite “leggere”. Giuseppe Anzani ci ragiona su da par suo in prima pagina e, qui, mi limito a una sottolineatura che riprende la battuta del signor Cereti sui calcoli relativi a un possibile «ritorno fiscale per l’erario» dalla ufficiale mercatizzazione e supermercatizzazione di marijuana e affini. Siamo purtroppo al cospetto di (s)ragionamenti piuttosto simili a quelli che hanno portato nel nostro Paese (e non solo) al dilagare senza freni dell’azzardo: l’illusione di “bonificare” semplicemente legalizzando e la follia di considerare fonti di “guadagno” (fiscale) attività e dipendenze che comportano costi pesantissimi sul piano sociale e dunque, inevitabilmente, economico. Vorrei anche dire al signor Bendazzoli che, nonostante i tanti interessi in ballo e le troppe confusioni, non credo possibili scriteriati colpi di mano. Michel Giuntini ha, perciò, ragione nel rimarcare che far balenare una simile stupefacente “liberalizzazione” serve solo a chi non vuol affrontare i veri problemi del Paese.