martedì 15 ottobre 2013
​Rapporto choc dei ricercatori della prestigiosa istituzione: «Chi scarica canzoni va ai concerti e compra file digitali». Insorgono i discografici: «Una follia». Ma già uno studio dell'Unione europea sosteneva una tesi simile.
COMMENTA E CONDIVIDI
Ma la pirateria - fatte salvo per un attimo le pur importanti implicazioni morali e legali della vicenda - danneggia davvero la musica? I discografici non hanno mai avuto dubbi in merito: per colpa di chi scarica canzoni illegalmente il mondo delle sette note rischia di morire.
Eppure, come racconta Punto Informatico, secondo uno studio della prestigiosa London School of Economics la pirateria avrebbe addirittura effetti benefici sull'industria dell'intrattenimento audiovisivo».
In pratica, i ricercatori avrebbero scoperto che «a dispetto del panorama di devastazione dipinto dalle major, il fatturato derivante dalle vendite digitali - comprese quelle piattaforme autorizzate per lo streaming in abbonamento - compenserebbe adeguatamente il declino registrato sul mercato dei CD o DVD fisici». Non solo. I ricercatori della LSE «hanno registrato un aumento significativo nel fatturato proveniente dai concerti e dalle vendite in formato digitale, trascinato da piattaforme come Spotify». 
In pratica «dal 2000, il declino nelle vendite di CD fisici non sarebbe assolutamente collegabile alla condivisione di musica pirata». Anzi, la condivisione dei brani avrebbe fatto da volano al mono dei concerti.
Stesso discorso per il mondo del cinema. «Al di là dei pianti della Motion Picture Association of America (MPAA), l'industria cinematografica statunitense avrebbe registrato il record d'incassi al box-office, con 35 miliardi di dollari nel 2012, il 6 per cento in più dal 2011».
Lo studio, manco a dirlo, ha fatto infuriare i vertici della International Federation of Phonographic Industry, cioè la più importante associazione dei discografici che ha puntato il dito contro «errori metodologici dello studio».
Eppure, già lo scorso marzo, uno studio condotto dall'Institute for Prospective Technological Studies (IPTS) per conto del Joint Research Center (JRC) interno alla Commissione Europea, sosteneva che «la fruizione di contenuti pirata non provocherebbe alcun danno alle vendite legali di musica e film».
Anche allore le organizzazioni discografiche mondiali erano insorte. «Numerose ricerche confermano un quadro molto diverso. La pirateria ha un impatto negativo sul mercato musicale legale».
Non abbiamo nessuna difficoltà a prendere per buone le tesi dei discografici, ma resta una domanda tutt’altro che banale: com’è possibile che, nel giro di pochi mesi, ricercatori di due importanti istituti abbiano sbagliato clamorosamente il tiro?
Il mistero, per ora, resta. Tanto più che - come diceva Agatha Christie - «due indizi sono una coincidenza».  Non resta che aspettare un  altro studio sulla pirateria audiovisiva, visto che «tre indizi fanno una prova».​
​​
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: