giovedì 24 ottobre 2013
COMMENTA E CONDIVIDI
«Abbiamo parole per vendere, / parole per comprare. / Andiamo a cercare insieme le parole per pensare» è l’invito di Gianni Rodari che resta valido nelle sue filastrocche, insieme leggere e impegnative, svagate e stimolanti. Ora che vengono una a una trasformate in albi illustrati da Emme e EL edizioni, come Una scuola grande come il mondo appena illustrata da Allegra Agliardi, la sua lezione di non sprecare «parole per fare parole» appare attuale e quasi profetica, come la Grammatica della fantasia, capolavoro teorico di eccezionale ricchezza creativa. Fa bene Einaudi Ragazzi a pubblicarla in edizione speciale, a 40 anni dall’uscita, per ribadire che «inventare storie è una cosa seria», come la letteratura per l’infanzia e, soprattutto, come l’educazione. Oggi purtroppo capita il contrario: con la scusa pur vera della crisi si riducono le ore di lettura in aula, non si acquistano libri per le biblioteche scolastiche, si demanda a Google e YouTube l’informazione e l’aggiornamento, addirittura la fantasia, dimenticandosi del valore della parola scritta e dei libri.Lo scrittore lo ribadisce nel romanzo, quasi un testamento, C’era due volte il barone Lamberto (ora in nuova edizione con disegni belli ma poco narrativi di Javier Zabal), dove il decrepito e moribondo protagonista viene mantenuto in vita, poi ringiovanisce e anzi rinasce, dunque «c’era due volte», grazie a un’antica formula magica egizia secondo cui «l’uomo il cui nome è pronunciato resta in vita». La divertente storia è ambientata nel lago d’Orta, sulle cui rive Rodari è nato nel 1920, per la precisione a Omegna, la cittadina cusiana che sabato 26 ottobre gli intitola (finalmente!) la biblioteca invitando piccoli e grandi lettori con uno schizzo dello stesso autore donato all’amico Lino Cerutti e usato come copertina di un titolo ormai introvabile, Rodari, le parole animate: in quel disegno un omino ha un palloncino su cui c’è scritto "grazie", l’immagine della fantasia, tenuta in mano eppure pronta a volare in alto, come la cultura, la letteratura. È il senso del «valore di liberazione che può avere la parola» di cui l’inventore delle Favole al telefono, ancora molto tradotte nel mondo, scrive: «"Tutti gli usi della parola a tutti" mi sembra un buon motto, dal bel suono democratico. Non perché tutti siamo artisti, ma perché nessuno sia schiavo».Il «favoloso Gianni» lo impara appena diplomato maestro a Gavirate quando nel ’38 è precettore a Sesto Calende presso una famiglia di ebrei tedeschi fuggiti dalla Germania e inizia a studiare lingue in Università Cattolica, finché nell’autunno di settant’anni fa assiste all’olocausto del lago Maggiore, primo in Italia, e all’internamento del fratello in un campo di concentramento: allora sceglie la Resistenza clandestina e poi il Pci. Proprio dalle esperienze della vita coglie una delle sue formule più originali: «Sbagliando s’impara è un vecchio proverbio. Il nuovo potrebbe dire che sbagliando s’inventa». Lo insegna a partire dal concetto-gioco di Un sasso nello stagno (non a caso titolo di un recente ritratto video di Felice Cappa prodotto da Rai e Salani) spiegando l’importanza di suscitare onde concentriche che smuovono tutto lo stagno, dalle ninfee al galleggiante del pescatore, proprio come «una parola gettata nella mente produce suoni e immagini, analogie e ricordi, significati e sogni». E non dev’essere un sogno per l’Italia il rinnovamento delle strutture culturali educative ma soprattutto nuovi incentivi alla promozione della lettura (promessi da un ministro competente come Bray), che non possono che partire da «sassi nello stagno» come quelli che ci aiuta a gettare Rodari con un avvertimento: queste parole e questi progetti «devono servire ai bambini, non servirsi di loro». La fantasia aiuta la cultura e l’educazione può fare centro se è basata sulla dedizione: «Abbiamo parole per fingere, / parole per ferire, / parole per fare il solletico. / Andiamo a cercare insieme le parole per amare».
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: