lunedì 4 maggio 2015
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Cent’anni dopo la loro fucilazione, sono ancora ignorati, dimenticati perfino nelle lapidi dei monumenti ai Caduti. Per riabilitare un migliaio di soldati italiani che finirono “giustiziati” da una giustizia sommaria, il centenario della Grande Guerra rappresenta l’occasione da non perdere. Ne sono convinti i promotori dell’attesa due giorni dal titolo “L’Italia nella guerra mondiale e i suoi fucilati: quello che (non) sappiamo” che domani e dopodomani vedrà riuniti in Trentino, al Mart di Rovereto, i principali soggetti – privati e istituzionali, storici di professione o esponenti della società civile – che negli ultimi mesi hanno chiesto (e in parte ottenuto) un impegno finalmente risoluto per far luce su questi episodi rimasti per tropi anni nell’ombra anche per la storiografia ufficiale. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha inviato al Convegno sui “fucilati”  un messaggio importante. Eccolo:L'approssimarsi del centenario della Grande Guerra ci offre l’occasione di meditare a fondo sugli eventi e sulle conseguenze di quel terribile conflitto che produsse rivolgimenti senza precedenti, cambiando il corso della storia in Europa e del mondo. Il ricordo della vittoria, la giusta e doverosa rivendicazione orgogliosa dei tanti atti di grande valore e di nobile eroismo compiuti dai soldati italiani, la memoria delle loro sofferenze e dei loro sacrifici hanno costituito e costituiscono patrimonio condiviso. Proprio il loro richiamo non consente di lasciare in ombra alcune pagine tristi e poco conosciute di quegli anni di guerra. Pagine che riguardano anche il funzionamento, in qualche caso, dei tribunali militari e la cosiddetta “giustizia sommaria”.Una prassi che includeva la fucilazione immediata, senza processo, e persino il ricorso – sconcertante, ma incoraggiato dal comando supremo – alle decimazioni: soldati messi a morte, estratti a sorte, tra i reparti accusati di non aver resistito di fronte all’impetuosa avanzata nemica, di non aver eseguito ordini talvolta impossibili, di aver protestato per le difficili condizioni del fronte o per la sospensione delle licenze. Alberto Monticone ed Enzo Forcella sono tra i primi ad aver scandagliato, alla fine degli anni Sessanta del secolo scorso, l’universo delle corti marziali italiane, mettendo in luce il rigore estremo delle sentenze e, in alcuni casi, anche la loro arbitrarietà.Più difficile mettere a fuoco il fenomeno della giustizia sommaria e la sua reale dimensione, non essendoci spesso alcuna prova documentale. Seguendo alcune tracce, due valenti studiosi, Irene Guerrini e Marco Pluviano, hanno accertato, in anni a noi più vicini, almeno 300 episodi di giustizia sommaria. Un numero probabilmente in difetto, che si aggiunge alle 750 sentenze capitali eseguite per ordine di Tribunali militari. L’esercito italiano si colloca al secondo posto – dopo quello russo, colpito però da ingenti rivolte di massa – per numero di fucilati. In Europa sulla vicenda dei condannati a morte si è steso, per lunghissimi anni, il velo dell’oblio. Solo di recente alcuni Paesi, come la Francia e l’Inghilterra, hanno affrontato questa dolorosa questione, restituendo i fucilati alla storia e alla memoria nazionale. Nel luglio dello scorso anno, dopo un’inchiesta del quotidiano “Avvenire”, si è attivato anche il governo italiano.Il ministro della Difesa Roberta Pinotti ha insediato una commissione di studi sul comportamento e sul morale dei soldati italiani durante la Grande Guerra, affidandone la guida all’equilibrio del professor Arturo Parisi. Al Mart di Rovereto si apre un importante convegno – “L’Italia nella guerra mondiale e i suoi fucilati: quello che (non) sappiamo” – che prevede una libera discussione tra storici, uomini politici e giornalisti. Molte saranno le proposte e le suggestioni. Si tratta di passi importanti per ritrovare un filo doloroso e accantonato della nostra storia. Sappiamo che è arduo guardare agli eventi del passato con le lenti del presente. Si tratta, inoltre, di situazioni molto diverse tra loro, che vanno esaminate, quando questo è possibile, nella loro specificità. Un Paese dalle solide radici come l’Italia non deve avere il timore di guardare anche alle pagine più buie e controverse della propria storia recente. Ricordare e capire non vuol dire necessariamente assolvere o giustificare. La memoria di quei mille e più italiani uccisi dai plotoni di esecuzione interpella oggi la nostra coscienza di uomini liberi e il nostro senso di umanità.
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