domenica 16 ottobre 2016
​Ad appena 18 anni il futuro esorcista aveva combattuto per la liberazione in Emilia Romagna. Poi furono molte le battaglie condotte per dare serenità agli "schiavi" del male.
Amorth, un partigiano contro il diavolo
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Quando l’8 settembre scorso è stata data la notizia che padre Gabriele Amorth era stato insignito della Medaglia della Liberazione per il ruolo svolto, appena diciottenne, come partigiano in Emilia sono venute facili un paio di riflessioni sulla sua straordinaria vita di fede e la sua missione di esorcista. Intanto la data. L’8 settembre, prima ancora di ricordare la firma dell’armistizio del ’43, è la festa della Natività di Maria. E don Amorth aveva per la Vergine una devozione molto intensa, oltre ad averne una conoscenza comune solo a pochi mariologi, formatasi con studi specifici e con la direzione del mensile Madre di Dio. Chi negli ultimi anni andava a trovarlo nella sua stanza in via Alessandro Severo a Roma, non poteva fare a meno di notare sulla piccola scrivania, oltre al rosario (lo considerava un’arma potentissima contro il diavolo), l’immagine della Madonna di Medjugorje, una piccola pila di libri, sempre diversi, su argomento mariano, e alcune effigi della Medaglia miracolosa che lui benediceva e regalava agli ospiti invitandoli invariabilmente alla confessione e alla preghiera. Don Amorth aveva per Maria un riguardo e una tenerezza che commuovevano. Diceva che i santuari mariani «sono le cliniche dello spirito». Dava grande attenzione alle apparizioni. Da anni, in particolare, a quelle di Medjugorje. Come ricorda anche don Luigi Secchi, il parroco di San Camillo de Lellis a Roma, chiesa dove don Amorth si recava per delle catechesi che prendevano spunto dai messaggi diffusi dai veggenti del santuario balcanico (che conosceva personalmente), sosteneva che «il vero miracolo di Medjugorje sono le tantissime confessioni e conversioni, perché anche lì, come sempre, Maria porta a Gesù».  La Madonna era sempre nei suoi pensieri. Chi ha avuto la fortuna di ascoltare dalla sua voce il racconto di quando il cardinale Ugo Poletti, suo amico ed estimatore, gli aveva conferito il mandato di esorcista non può non ricordare, fra le battute e l’humor sottile di cui Amorth lo condiva, una immancabile sottolineatura: «Sono un fifone e, uscito dalla casa del cardinale, sono andato davanti alla Madonna e gli ho detto: Avvolgimi nel tuo manto perché ho una gran paura». La seconda cosa è la Liberazione. Al di là della partecipazione alla lotta partigiana, la sua vita è stata interamente dedicata a liberare le persone dal male e da ogni forma di schiavitù. Aveva preso alla lettera il mandato di Gesù agli apostoli: «Guarite i malati, risuscitate i morti, mondate i lebbrosi, scacciate i demòni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (Mt 10, 8), che al versetto 16 aggiunge: «Ecco, io vi mando come agnelli in mezzo ai lupi». Lui, così consapevole della sua debolezza, si faceva forte del dono ricevuto impegnandosi in ogni modo affinché tutti potessero attingere dalla medesima fonte di liberazione. Tutto ciò che non viene da Cristo o non è riportato a Cristo, diceva, può essere preda del diavolo e fonte di possibili schiavitù. E da lui c’era la fila (andate nei luoghi in cui ricevono gli esorcisti e ne troverete di analoghe) di persone schiavizzate dal male in ogni sua forma, che chiedevano di essere liberate: c’erano i catturati dalle sette, gli ingannati da una seduta spiritica, i soggiogati dalla cattiveria altrui, gli schiavizzati da un mago o da un santone orientale, gli incastrati in ogni forma di vizio: il gioco, il sesso, l’alcol, la droga. C’erano anche i malati di ma-lattie inspiegabili e irragionevoli che, come l’emorroissa del Vangelo, dai medici non avevano alcun conforto.  Lui, che c’era sempre per ognuno (rispondeva a tutte le lettere, che erano migliaia, rigorosamente cartacee e con un francobollo per la risposta) accoglieva, sorrideva, sdrammatizzava con i suoi disegnini e le sue barzellette, ascoltava, dava consigli e, quando serviva, si preparava alla dura battaglia. E chi ha visto le sue battaglie (come quelle di altri esorcisti) in nome di Cristo contro il demonio non le può più dimenticare e non può nemmeno pensare (incrociandole con le storie degli esorcizzati) che le tante intemerate, scritte e televisive, sul problema del male fossero esagerazioni. Così come non può non ricordare il suo costante ammonimento a essere con Gesù per non trovarsi a stare col diavolo. E nemmeno può trascurare di ricordare il pressante invito ai vescovi a nominare esorcisti nelle loro diocesi, perché c’è tanta gente che soffre e resta sola nella lotta col demonio non sapendo a chi rivolgersi né, tanto meno, a chi parlare di un disagio che il più delle volte resta incompreso se non deriso. Per lui questa era la questione cruciale. E se ne era fatto carico rischiando spesso di essere tacciato di eccessivo protagonismo. Ma, come ha ricordato di recente anche padre Bamonte, non c’è stato libro, intervento in tv o a Radio Maria, articolo su Famiglia Cristiana o su Credere che lui non abbia fatto con lo scopo di sensibilizzare la Chiesa su questa delicata questione. A questo proposito un paio di anni fa aveva scritto una lettera a Papa Francesco. Fra i frutti di tanto impegno, lui stesso metteva il riconoscimento ufficiale avuto l’anno scorso dall’Associazione internazionale degli esorcisti della quale era stato il primo presidente e che oggi vede padre Bamonte come successore.
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