mercoledì 14 novembre 2012
​Burocrazia e scarsità di fondi rallentano il recupero degli edifici. Ora spetta ai Comuni erogare i contributi. Nel capoluogo aperto un multi-sportello. L’arcivescovo Molinari ha appena istituito un’unità diocesana per avviare e monitorare i procedimenti di restauro e «fornire un sostegno ai sacerdoti».
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C'è un tonfo sordo che alle volte spezza la quotidianità all’Aquila. È il rumore delle prime demolizioni, il segno più evidente che dopo tre anni e mezzo sta partendo davvero la ricostruzione pesante. Almeno in città, anche se ancora fuori dalla cinta muraria. Il cuore storico è sempre lì, immobile nelle sue mille imbragature di legno e acciaio a ricordare che la sfida più grande gli abruzzesi la devono ancora vincere. È un contrasto che fa male agli occhi vedere lo splendore di una porta d’ingresso al centro appena restaurata e, tutt’intorno, gli scheletri dei palazzi che aspettano di tornare alla vita. L’Aquila è una città mosaico adesso, divisa tra il vecchio da riparare, il nuovo in gran parte donato dalla solidarietà e le case fresche di cantiere. Ma ci sono anche tante chiese e monumenti ancora da ricostruire. Nel capoluogo come nei cento centri storici del cratere ancora puntellati. Per questo, per aiutare i sacerdoti e chi si occupa della rinascita degli edifici sacri, l’arcivescovo dell’Aquila ha appena istituito l’unità diocesana di ricostruzione, un nuovo organo consultivo che avvierà e monitorerà i procedimenti di restauro, anche dei beni vincolati dalle Soprintendenze. L’obiettivo, dice monsignor Giuseppe Molinari, è «fornire un sostegno ai nostri sacerdoti che insieme a tutta la Curia sono coinvolti nella ricostruzione dei tanti monumenti che la fede dei nostri avi ci ha lasciato». Un aiuto, insomma, perché la ricostruzione dell’Aquila, «soprattutto per quanto riguarda gli edifici di culto, possa procedere in maniera più spedita per il bene di tutti».Le ferite meno profonde dei palazzi in periferia, difatti, sono state da tempo ricucite. Ora le gru stanno lavorando su quelle case E (totalmente inagibili) che, in pochi mesi, hanno prosciugato la Cassa depositi e prestiti, garante della continuità dei lavori grazie al finanziamento agevolato (così sono partite 15mila riparazioni, a fronte delle 4mila con il contributo diretto). Lì sono rimasti 2 milioni di euro che bastano appena a ricostruire un condominio malridotto. Da oggi in poi si dovrebbe continuare con il contributo diretto erogato dai sindaci; i cantieri, in realtà, con questo nuovo meccanismo non potrebbero ripartire finché nelle casse comunali non ci sono i soldi necessari. Così il solo pensiero terrorizza un po’ tutti. Il timore è sia che il flusso dei soldi dal governo centrale non sia costante, sia che la macchina della ricostruzione s’inceppi di nuovo proprio nei Comuni, impreparati a gestire una tale mole di denaro e lavoro. Il contributo di autonoma sistemazione, che spetta agli sfollati che hanno scelto di trovarsi una sistemazione da soli, ne è la prova: è fermo al mese di giugno. Anche il concorso previsto per fine mese, che dovrebbe stabilizzare 300 persone negli uffici post sisma degli enti locali, in realtà non è una garanzia di successo, visto che molte di loro già vi operano da mesi. «La nostra proposta - spiega l’assessore aquilano alla Ricostruzione Piero Di Stefano - è quella di ragionare su un multi-sportello per non creare un imbuto che renda più lento il pagamento del contributo ai privati». Come attuarlo, tuttavia, è un mistero.Il cantiere più grande d’Europa, comunque, continua a marciare a singhiozzo anche per la lentezza della burocrazia. Il 40% dei palazzi E è fermo per cavilli amministrativi o in attesa del parere del Genio civile che viaggia con un ritardo di tre mesi. All’Aquila 5mila hanno già ottenuto l’ok definitivo a ricostruire, ma la media mensile di cantieri aperti nell’ultimo trimestre è appena 57. La domanda che si fanno in molti, però, non è solo a che velocità si sta rifacendo la città, ma come. Le ordinanze sono tante e stringenti e migliorano almeno al 60% edifici che prima del terremoto avevano una vulnerabilità sismica intorno al 20 L’optimum sarebbe stata la sostituzione edilizia per tutti, ma per motivi economici questa strada è stata subito dichiarata impercorribile. La battaglia dei tecnici perciò ora si sposta sulla ricostruzione in sicurezza, anche persuadendo gli abruzzesi a investire soldi propri. «Deve finire la storia che le case devono essere belle, devono essere sicure. Il terremoto non fa segreti delle lacune di costruzione». Gianlorenzo Conti, il presidente dell’ordine degli architetti dell’Aquila, non fa sconti alla sua città: «L’80% delle persone però vuole risparmiare, nessuno ci chiede mai quanti ferri metteremo in un pilastro, in troppi fanno solo domande sui pavimenti». Qualcuno poi va anche oltre, proponendo di barattare «magari una rete armata in un muro con una finitura di pregio».Imprese e progettisti stanno mostrando grande serietà, ma il sospetto che qualcuno non sarà così ligio c’è. I controlli post-ricostruzione dei Comuni sono a campione (20% del totale) e non si può fare di più, perché precisa l’assessore Di Stefano «per monitoraggi a tappeto servono energie che non abbiamo. Finora, comunque, non è emerso questo costume, per me limitato. Abbiamo già pagato il sonno della ragione con un alto numero di vittime tre anni fa, perché perseverare ancora?». La procura ha però già indagato una decina di persone per i costi gonfiati nella ricostruzione e non è escluso che possa mettere gli occhi anche su questa triste novità. «Rinunciate agli incarichi se le richieste dei clienti sono inaccettabili - consiglia infine il presidente dell’ordine degli architetti ai tecnici - e agli aquilani dico: tornate a essere gli stessi del giorno dopo il terremoto».
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