venerdì 12 giugno 2015
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Land Grabbing, «rapina» di terreLetteralmente "rapina delle terre", il Land Grabbing è un grave fenomeno che ha visto la luce all’inizio del millennio e consiste nell’appropriazione da parte di società private (spesso finanziate da fondi sovrani) di immensi territori sottratti alle popolazioni locali e trasformati in piantagioni. La principale coltivazione che ha preso il posto di foreste e di interi villaggi espropriati, evacuati e rasi al suolo (con la complicità dei governanti) è quella della palma da olio. Questo olio ha avuto negli ultimi anni un massiccio impiego nella produzione industriale di svariati alimenti, nonostante la sua comprovata nocività (troppi grassi saturi). Nocività che è nulla rispetto alla catastrofe umanitaria che la sua produzione ha comportato. In particolare, le popolazioni di 13 Paesi africani (dal Sudan al Congo, dalla Sierra Leone all’Etiopia) hanno subito la sottrazione violenta di oltre 20 milioni di ettari di aree coltivabili, pari al 55,5% delle terre rapinate. Alla base le speculazioni di investitori basati in Paesi come gli Stati Uniti (6,9 milioni di ettari rapinati), la Malesia (3,6 milioni) e l’Indonesia (2,9).

 

5.jpgLo scandalo dello sprecoSulla terra siamo 7 miliardi e produciamo cibo sufficiente per nutrire 12 miliardi di persone. Eppure nel mondo quasi 800 milioni di persone soffrono la fame. Le ragioni di questa contraddizione sono molte, dall’inefficienza delle produzioni agricole nei Paesi poveri alla dipendenza di questi dai Paesi ricchi, ma una importante è in particolare legata agli sprechi, come ha sottolineato papa Francesco alla Fao. Un terzo degli alimenti prodotti nel mondo, 1,3 miliardi di tonnellate di cibo, diventa "spreco". Solo in Italia il cibo sprecato vale qualcosa come 13 miliardi di euro ogni anno. Gli europei sprecano in media 180 chili di cibo a testa ogni anno (149 chili gli italiani), e il 42% di questi sprechi avviene in casa, cioè non nelle fasi di semina, produzione o distribuzione di cibo. Anche per questo diventa sempre più importante assumere l’impegno, come ha chiesto Francesco, di «modificare gli stili di vita».

6.jpgIl ruolo dell’educazione alimentareImparare a non sprecare il cibo, imparare a nutrirsi in modo corretto, imparare a non eccedere, ma imparare anche quali sono le cause profonde che generano la fame "cronica" nel mondo, come l’eccessiva dipendenza dalle produzioni che arrivano dall’estero e lo scarso sviluppo dell’impresa agricola locale. Il tema della fame si affronta anche con una corretta educazione alimentare. Nel mondo ricco i problemi sono l’abbondanza di cibo, la riduzione dei grassi e l’aumento del movimento, altrove c’è chi non riesce a fare un pasto al giorno. Sono quasi 2 miliardi le persone obese sulla terra, non tutte necessariamente "ricche", anzi più spesso si tratta di persone che si alimentano male, anche per ragioni di povertà economica o culturale. Nei Paesi ricchi il vero problema, legato all’eccessiva raffinazione dei cibi e alla mania dell’igiene, sono invece le allergie: ne soffre il 30% della popolazione del Regno Unito e dell’Australia, il 10% in Italia.

1.jpgI popoli sfollati per il climaNel segnalare i «forzati spostamenti di popolazione» provocati dai cambiamenti climatici, il Papa ha sottolineato uno dei maggiori drammi del nostro tempo. Secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni, nel 2008 erano 20 milioni le persone sfollate in seguito ad eventi meteorologici estremi. Ma tra il 2010 e il 2011 l’Asian Development Bank già parlava di 42 milioni di persone. Oltre all’aumento della temperatura e al cambiamento delle precipitazioni, in futuro avremo a che fare con eventi estremi sempre più frequenti, come caldo intenso, siccità, inondazioni dovute all’aumento del livello dei mari. Con implicazioni sulle colture, sulla salute e sulla crescita economica. «Una delle cause di spostamenti di massa e di potenziali conseguenti conflitti nei prossimi 10 o 20 anni sarà la scarsità di risorse provocata dai cambiamenti climatici, che stanno per complicare il cocktail  di guerra e migrazione di massa», aveva sottolineato nei giorni scorsi anche David Miliband, ex ministro degli Esteri inglese oggi a capo dell’Ong International Rescue Committee. (P.M.Al.)

 4.jpgAcqua sempre più nodo di conflittiIn tutti i continenti si moltiplicano i rischi di scontro intorno a falde, fiumi e laghi condivisi. È la cosiddetta guerra dell’acqua, risorsa «già oggetto di conflitti che in prospettiva aumenteranno», ha sottolineato il Papa. Se Cina, Nepal, India e Bangladesh si contendono i fiumi che sgorgano dall’Himalaya, in Asia centrale Tagikistan e Turkmenistan stanno costruendo enormi infrastrutture sui corsi d’acqua che minacciano i Paesi a valle, come l’Uzbekistan. Sul Nilo l’Etiopia sta investendo nella Grande diga della Rinascita: non mancano le tensioni con Il Cairo, visto che la struttura potrebbe cambiare la portata del fiume in Egitto. Argentina e Uruguay hanno già portato alla Corte internazionale di giustizia la loro disputa sul Rio de la Plata. Messico e Stati Uniti litigano per i diritti sul Rio Grande e il Colorado, mentre Siria e Iraq sono ai ferri corti per le acque del Tigri. E poi c’è la Cina, che va assumendo un ruolo di leadership anche nella gestione delle acque internazionali. (P.M.Al.)

 

3.jpgSpeculazione finanziariaIl mercato dei derivati sulle materie prime alimentari nasce come sistema di protezione per gli agricoltori, che ad esempio cedendo in anticipo parte dei loro raccolti attraverso contratti "futures" possono evitare eventuali problemi causati da movimenti anomali dei prezzi. Ma negli ultimi anni questo mercato è diventato uno dei campi di gioco delle banche d’affari e dei più aggressivi fondi speculativi, che non hanno nessuna intenzione di comprare prodotti agricoli né esigenze di proteggersi dalla volatilità dei prezzi, ma comprano e vendono titoli e contratti solo per guadagnarci. Con il risultato di peggiorare, anziché migliorare, l’efficienza del mercato, rendendolo estremamente volatile, con balzi e cadute dei prezzi (già "storica" la crisi tra il 2007 e il 2008) che, come ha sottolineato ieri il Papa, «impediscono ai più poveri di fare programmi o di contare su una nutrizione anche minima».

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