venerdì 3 luglio 2015
Da domenica il viaggio del Papa in tre Paesi. Intervista al segretario vaticano per i rapporti con gli Stati: la fede alimenta giustizia e sviluppo.
iL PAPA IN ECUADOR, BOLIVIA E PARAGUAY (programma) | LA SCHEDA La Chiesa cattolica in Ecuador, Bolivia e Paraguay
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«Il Sud America è sempre meno disposto ad accettare modelli che gli vengono proposti dall’esterno e intende trovare percorsi propri per il suo sviluppo». L’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario vaticano per i rapporti con gli Stati, stila per Avvenire una panoramica delle questioni latinoamericane partendo dal viaggio del Papa in Ecuador, Bolivia e Paraguay che inizia domenica. Questione sociale, integrazione, sviluppo e tutela ambientale, ma anche nuove istanze e alternative concrete al modello neo-liberista dominante e il significato per il continente dell’avvio delle relazioni tra Cuba e Stati Uniti. Eccellenza, il Papa torna in America Latina scegliendo tre Stati che simboleggiano le emergenze attuali del continente. Quali sono le priorità di questa visita apostolica? Penso che la risposta l’abbia suggerita il Papa alcuni mesi fa quando ricordava che dall’America Latina ci si attendono 'nuovi modelli di sviluppo che coniughino tradizione cristiana e progresso civile, giustizia e equità con riconciliazione, sviluppo scientifico e tecnologico con saggezza umana, sofferenza feconda con gioia speranzosa'. L’America Latina si presenta oggi come un laboratorio di idee ed esperienze in campo politico e sociale, intese a individuare nuovi modelli di democrazia e di partecipazione che assicurino una maggiore inclusione sociale a categorie cui era stata negata finora una presenza sgnificativa nella vita pubblica. Di certo è un continente sempre meno disposto ad accettare in modo acritico modelli sociali che gli vengono proposti dall’esterno, e desideroso di trovare percorsi propri per uno sviluppo rispettoso della sua identità e della sua storia. E quale significato si può dare alle tre tappe del viaggio? Ritengo che l’intenzione sia anzitutto di offrire una testimonianza cristiana, mostrare come il cristianesimo possa e intenda offrire ancora un valido contributo alle istanze+ di giustizia, di sviluppo e di pace per le società di Ecuador, Bolivia e Paraguay. Ma anche dell’intero Sud America. Tutti i governanti dei Paesi latinoamericani sono stati in visita dal Papa. Quali sono i temi e le problematiche che la Santa Sede maggiormente affronta con i governanti dei Paesi del continente? Il fatto che il Santo Padre sia figlio dell’America Latina fa sì che sia considerato un interlocutore privilegiato da tanti capi di Stato di quelle nazioni che – non bisogna dimenticarlo – sono ancora in larga maggioranza cattoliche. I temi affrontati riguardano problemi specifici legati alla situazione del Paese e considerazioni più ampie sulle problematiche regionali. Alla Santa Sede certamente sta molto a cuore la possibilità che le Chiese locali possano vivere la propria missione in piena libertà, promuovendo rapporti con le autorità civili. Organizzazioni della società civile hanno denunciato l’intento del governo del Paraguay di strumentalizzare la prossima visita di papa Francesco per proiettare un’immagine artificiale del Paese. «Dobbiamo smascherare l’intenzione del governo di voler presentare un Paese idilliaco», è stato detto... C’è il rischio di questa strumentalizzazione? Purtroppo le strumentalizzazioni sono sempre possibili, come c’è sempre chi, da ogni parte, vuole tirare acqua al proprio mulino. Ma penso che si possa evitare tale pericolo accogliendo con semplicità il messaggio che il Papa intende portare, che è anzitutto una estimonianza evangelica verso i più poveri, verso chi soffre, i malati e i bisognosi. Il Papa non mancherà di visitare realtà sociali molto vulnerabili, come l’agglomerato urbano del Bañado Norte, dove molto, in termini sociali e di assistenza, resta ancora da fare, ma nello stesso tempo non bisogna dimenticare quanto è stato compiuto, e il fatto che esistono in Paraguay belle realtà di assistenza e solidarietà sociale che testimoniano la volontà del Paese di crescere e di proseguire sulla via dello sviluppo. È accaduto talvolta che si siano verificate frizioni tra il governo di alcuni Paesi latinoamericani e le rispettive Conferenze episcopali. Quali relazioni si perseguono oggi? La Chiesa persegue la sua missione evangelizzatrice, che si esplica anche in concrete attività di promozione umana in campo educativo, sanitario, socio-assistenziale. Non pretende privilegi, ma chiede di poter svolgere liberamente la sua missione, specialmente in Paesi a grande maggioranza cattolici, dei quali ha contribuito in modo eterminante a costruire l’identità e dove continua a dare un ignificativo apporto alla vita sociale. D’altra parte la Chiesa non può venir meno alla sua funzione profetica, che la può portare a esprimere valutazioni e assumere posizioni che possono essere erroneamente interpretate in chiave partitica, dando luogo a malintesi. In Bolivia e in Ecuador il Papa incontrerà due tra i principali alleati del presidente del Venezuela, Maduro: Morales e Correa. Ci sarà spazio anche per la questione venezuelana? Il centro dell’attenzione sarà per i Paesi visitati, con i numerosi eventi ecclesiali in programma e gli incontri con le diverse autorità politiche che si avranno a Quito, La Paz e Asunción. Ma nel toccare i tre Paesi che verranno visitati il Papa intende abbracciare evidentemente tutta l’America Latina, e come sappiamo il Venezuela è particolarmente nel suo cuore. Che ripercussioni può avere l’apertura delle relazioni tra Cuba e gli Stati Uniti per il Sud America? Il disgelo tra Cuba e gli Usa ha segnato la fine della 'guerra fredda' nel continente americano e il venir meno di un barriera ideologica ormai superata dalla storia. Una barriera che non solo bloccava l’interazione tra i due Paesi più direttamente coinvolti, ma che frenava il dialogo tra il Nord e il Sud America e offriva giustificazioni obsolete alla olarizzazione in blocchi contrapposti. Per questo ci si augura che le legittime aspettative sorte in seguito alla coraggiosa decisione dei due Governi possano trovare adeguate risposte, che non si limitino al riallacciamento delle relazioni diplomatiche e al ripristino della libertà negli scambi commerciali. Altri Paesi dell’area necessitano di aiuto nella risoluzione di conflitti. C’è, tra gli altri, il caso della Colombia con la guerriglia. L’esempio di Cuba e Stati Uniti può essere ripreso? Il processo di pace in Colombia riveste una particolare rilevanza, visto l’alto numero di vittime e il perdurare del conflitto da decenni. Si tratta certamente di un negoziato particolarmente complesso. Nel caso del disgelo tra Cuba e Usa la Santa Sede è stata chiamata a offrire i suoi 'buoni uffici'. Le circostanze che hanno favorito questo intervento difficilmente possono essere riproponibili, sic et simpliciter, in situazioni molto differenti, come potrebbe essere il caso del negoziato di pace in Colombia. Tuttavia da parte della Santa Sede, qualora sussistessero le condizioni, non si mancherebbe di contribuire a ogni sforzo volto a promuovere il dialogo tra le parti contrapposte per mettere fine a un conflitto così doloroso. D’altra parte, la Santa Sede lavora per la pace, nei limiti delle proprie possibi-lità, ovunque ci siano conflitti. Occorre però tenere presente che l’azione di mediazione e conciliazione della Santa Sede, prima ancora di essere diplomatica è ecclesiale. È innanzitutto la Chiesa che opera in ogni luogo per alleviare le sofferenze causate da conflitti e sanare le divisioni. Pensiamo al Medio Oriente e all’Ucraina, per citare le situazioni più note e attuali. Laddove poi è possibile, se non addirittura esplicitamente richiesto, la Santa Sede ben volentieri potrà adoperarsi con discrezione in mediazioni diplomatiche in senso stretto. Il Papa ha parlato spesso di «guerra a pezzi» e governi che «parlano di pace ma sottobanco vendono le armi». In America Latina questo è storicamente documentato. Ora la Bolivia, ma in misura minore anche l’Ecuador, è diventata una frontiera calda del narcotraffico... Il narcotraffico è già indicato dal Papa nella sua enciclica tra i «sintomi di un vero degrado sociale ». Grazie alle enormi quantità di denaro coinvolte, ha infatti la capacità di operare una distorsione profonda della vita di una società e di condizionare in maniera significativa il potere reale. Ma va anche detto che quello del narcotraffico è un aspetto parziale di un problema più ampio. Quale? Mi riferisco alla produzione, al commercio e al consumo delle sostanze stupefacenti, che va affrontato in maniera globale, in primo luogo promuovendo una cultura della legalità. Alcuni governi in America Latina sono contestati dalle popolazioni locali per le politiche di sfruttamento che devastano l’ambiente. Su questi conflitti sociali qual è la prospettiva che può essere seguita alla luce dell’enciclica «Laudato si’»? Degrado ambientale e degrado umano ed etico sono intimamente connessi. Due dei punti nevralgici dell’enciclica sono l’intima relazione tra i poveri e la fragilità del pianeta e la «cultura della cura». In questa prospettiva pensiamo all’impatto sulle popolazioni locali delle politiche di sfruttamento ambientale. Il messaggio dell’enciclica è chiaro: da una parte è necessario porre fine al mito del progresso materiale illimitato, dall’altra diviene sempre più urgente un cambio di rotta. In cosa può consistere questo cambio di rotta per l’America Latina? Nell’accogliere e promuovere il paradigma dell’ecologia integrale così ben delineato nella Laudato si’ a favore di un pieno sviluppo.
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