martedì 14 maggio 2024
L’esercito israeliano annuncia un’indagine per accertare la responsabilità. Erdogan: «Ricoverati in Turchia mille membri di Hamas»
Famiglie di sfollati a bordo di un camioncino lasciano Rafah diretti nel settore centrale della Striscia di Gaza

Famiglie di sfollati a bordo di un camioncino lasciano Rafah diretti nel settore centrale della Striscia di Gaza - Ansa

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«Il carro armato era dietro la scuola. Non volevamo andar via, finché non l’abbiamo visto con i nostri occhi». La testimonianza di Umm Jumma, raccolta dall’agenzia Reuters, non viene da Rafah, da dove nell’ultima settimana sono partiti in 360mila. Quella scuola che accoglieva sfollati si trova a Jabaliya, nel Nord della Striscia di Gaza dove tutto è cominciato. Sono passati quasi sette mesi da quando, venti giorni dopo il massacro del 7 ottobre, Israele avviò l’offensiva di terra. Già da tre settimane i raid martellavano il Nord, con Gaza City e il vasto campo profughi di Jabaliya costruito 75 anni fa. A gennaio le Forze di difesa informavano di avere «smantellato la struttura militare di Hamas a Jabaliya», pur prevedendo di tornarvi periodicamente. Ora i carri armati si sono spinti in profondità. Almeno venti corpi sarebbero stati estratti da sotto le macerie. «Ci sono spari da droni e cecchini. Non sappiamo dove andare» ha detto un residente. «Le forze israeliane cercano di avanzare verso il centro del campo e sparano a tutto quello che si muove, con i droni che volano a bassa quota». Sabato l’esercito aveva ordinato di evacuare due quartieri di Jabaliya. Stessa situazione nel quartiere di Zeitoun a Gaza City, tra i primi presi di mira nell’ottobre scorso. Segno che Hamas non si è del tutto barricato a Rafah, dove «la popolazione è senza cibo e carburante per la chiusura dei valichi, con le strade invase di rifiuti e fiumi di liquami che traboccano dalle fognature» denuncia Oxfam. «La gente è costretta a bere acqua sporca, soffre di malnutrizione e i bambini vengono punti dagli insetti presenti ovunque».

In questa fase di sospensione delle trattative, infuriano dal Nord al Sud combattimenti intensi. Bombe e artiglieria hanno colpito i nuovi quartieri di Rafah fatti sfollare. All’ospedale kuwaitiano, che avrebbe ricevuto un ordine di evacuazione, sarebbero arrivati almeno otto cadaveri. Vicino al valico di Rafah, chiuso dal 5 maggio, è stato colpito un veicolo delle Nazioni Unite: un morto e un ferito, entrambi membri dello staff del dipartimento di Sicurezza e protezione dell’Onu. Non è chiaro di chi sia la responsabilità, le Forze di difesa hanno avviato un’indagine. Il portavoce ha detto che, a Jabaliya e a Rafah, sono stati colpiti 120 obiettivi: distrutte «infrastrutture terroristiche» e confiscate «armi trovate all’interno di una scuola». Per il leader degli Hezbollah libanesi, Hassan Nasrallah, «Israele sta perdendo». «Stiamo combattendo la più grande guerra lanciata contro i palestinesi dal 1948», ha detto il capo del movimento armato filo-iraniano, «e la Palestina può imporre le sue condizioni».

Più che imporre, Hamas preme per chiudere un negoziato. Mentre i mediatori egiziani e qatarioti starebbero per incontrarsi a Doha, il capo dell’ufficio politico di Hamas, Israil Haniyeh, avrebbe visto il capo dei servizi segreti turchi, Ibrahim Kalin. A conferma della ricerca da parte di Ankara di un ruolo da protagonista. Il presidente Recep Tayyip Erdogan ha annunciato che oltre mille «membri di Hamas» sono ricoverati in Turchia.

Nel giorno in cui Israele ha commemorato i suoi caduti, alla vigilia dell’odierna festa dell’indipendenza, il premier Benjamin Netanyahu ha ribadito: «O noi, Israele, o loro, i mostri di Hamas. La nostra guerra d’indipendenza non è finita. E siamo determinati a vincere». È la sua risposta al monito del segretario di Stato americano Antony Blinken secondo il quale un’operazione su larga scala a Rafah «non risolverebbe il problema, abbiamo visto il ritorno di Hamas nel Nord». In una lettera i genitori di oltre 900 soldati impegnati a Gaza chiedono di sospendere l’offensiva definendola una «trappola mortale» per i figli. Il ministro della Difesa, Yoav Gallant, avrebbe detto a Blinken che si tratta di «un’operazione mirata». Ma dal lato egiziano riferiscono di boati così forti da essere uditi fino a 30 chilometri nella penisola del Sinai: «Fino all’alba, si sentiva anche il rumore delle case che crollavano».

«Non ci fermeremo fin quando non avremo riportato a casa tutti i 128 ostaggi» ha ribadito il capo dello Shin Bet, Ronen Bar. Nel numero sono inclusi i 37 dei quali Israele ha ufficializzato il decesso. Hamas informa di aver perso i contatti con miliziani che sorvegliavano quattro rapiti.

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