mercoledì 24 aprile 2024
Una carcassa infetta trovata a pochi chilometri dai salumifici che producono una delle grandi eccellenze del Made in Italy. Il Canada ha fermato le importazioni. Appelli al governo perché intervenga
Un cinghiale in Liguria

Un cinghiale in Liguria - Ansa

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Una carcassa infetta trovata a pochi chilometri dai salumifici che producono una delle grandi eccellenze del Made in Italy Il Canada ha fermato le importazioni Appelli al governo perché intervenga Torino In Italia i cinghiali sono sette volte più della media europea. E la carcassa infetta di uno di questi – ritrovata qualche giorno fa tra Fornovo e Varano, nel Parmense – minaccia adesso uno dei comparti più ricchi e importanti: quello del prosciutto di Parma. A mettere in forse il destino di un settore così prezioso, è ancora una volta la Peste Suina Africana (PSA) che non molla la presa e, anzi, continua a diffondersi. L’ultimo ritrovamento di un cinghiale morto di PSA ha provocato l’allargamento da parte dell’Europa delle zone di restrizione imposte al movimento di suini e derivati. Un passo che ha accresciuto l’allarme del settore. «Il nostro auspicio è che tutte le iniziative intraprese portino al contenimento ed eradicazione del virus, e a tutti va l’invito a compiere un ulteriore sforzo per raggiungere al più presto questo fondamentale obiettivo», dice Alessandro Utini, presidente del Consorzio Prosciutto di Parma. Lo stesso Utini precisa: «Viene da domandarsi quali scenari attendano l’export del Prosciutto di Parma ora che il virus è riuscito a insinuarsi nella zona tipica. È necessario però fare chiarezza e arginare alcune informazioni fuorvianti che stanno circolando e che rischiano di generare uno stato di allarme incontrollato.

Prima di tutto, la PSA non è dannosa per l’uomo. In secondo luogo, ad eccezione di alcuni Paesi come Cina e Giappone che già in preceden-za avevano chiuso le loro frontiere, il Prosciutto di Parma continua a circolare regolarmente verso le destinazioni d’esportazione. Sono quindi aperti mercati importanti come quelli di Stati Uniti e Australia. L’unico cambiamento di rilievo riguarda il Canada, Paese verso il quale le aziende poste nelle zone in cui la PSA è presente nel cinghiale non possono da pochi giorni spedire il loro prodotto». Il Parma, quindi, per ora resiste con i suoi 7,5 milioni di prosciutti (il 33% destinato al mercato estero) che valgono un giro d’affari al consumo di 1,7 miliardi. Ma a temere il peggio c’è anche tutto il resto della filiera. Confagricoltura lancia l’allarme sui rischi che le esportazioni di prosciutti italiani stanno vivendo, in particolare sul mercato degli Stati Uniti. Mentre Coldiretti tuona: «Occorre un intervento immediato per fermare la diffusione della peste suina e tutelare un settore che è uno dei fiori all’occhiello del made in Italy a tavola, con un valore tra produzione e indotto di circa 20 miliardi di euro e centomila posti di lavoro». Quello che viene chiesto è «un cambio di passo sulla gestione di una presenza di cinghiali ormai fuori controllo». Ma occorrono anche regole diverse. «Basta – viene spiegato – un cinghiale malato rinvenuto a chilometri di distanza da un allevamento per far scattare la decisione di abbattere migliaia di maiali perfettamente sani ». Da qui, tra l’altro, quanto chiesto dal governo italiano all’Europa.

«Cambiare approccio» è il mantra ripetuto dal ministro dell’agricoltura Francesco Lollobrigida. E in effetti trattative sono in corso con la Direzione generale della sanità della Commissione Europea. Negoziati per arrivare a regole diverse che prevedano di non chiudere intere aree di allevamento visto che le tecniche di sicurezza biologica sono ormai elevate e sofisticate. Ma cambiare le regole non è facile. Davide Calderone, direttore di Assica l’associazione che raccoglie le industrie di trasformazione, precisa: «È giusto ma è complicato farlo e soprattutto non basta. È vero, le norme di controllo possono essere differenziate sulla base del tipo di presenza della malattia (cioè se solo nel selvatico oppure anche negli allevamenti), ma queste norme devono essere anche condivise dai mercati di esportazione altrimenti comunque le vendite all’estero saranno bloccate». In attesa di norme europee diverse, il ministero ha intanto rafforzato con 3,5 milioni di euro la dotazione per sostenere l’azione delle Regioni sia per gli abbattimenti di cinghiali che per accrescere la biosicurezza degli allevamenti. Altri 25 milioni sono previsti per le imprese danneggiate. «Occorre non dimenticare – dice poi Confagricoltura – che la lotta alla PSA si fa in primo luogo con l’abbattimento dei cinghiali, principale veicolo della malattia». E proprio sugli abbattimenti, oltre che sulla situazione generale, si scatenano anche le polemiche politiche. «Sul contrasto alla peste suina troppe parole sono state spese da parte del governo», dicono i deputati del Pd nella Commissione Agricoltura che citano la stima di Assica che valuta perdite in termini di export per 20 milioni al mese. Polemiche a parte, comunque, è pur vero che ad essere in ambasce è tutta la filiera che secondo Coldiretti conta 5mila allevatori professionali e 10 milioni di suini. Mentre per Assica l’industria della salumeria italiana sviluppa 9 miliardi di euro di fatturato e vanta circa 30.000 addetti, numeri che crescono a circa 20 miliardi di euro e 40.000 addetti se consideriamo l’intera filiera (produzione di carne e allevamenti), senza contare l’indotto.

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